In gennaio ci chiedevamo, su queste colonne: «Arriveranno prima le manette o le dimissioni?» Per George Santos, il deputato repubblicano di Long Island, il dilemma si è risolto ieri: sono arrivate prima le manette. Santos è stato arrestato dell’Fbi con 13 capi di imputazione e oggi si presenterà davanti al giudice per dichiararsi colpevole o innocente.

LE ACCUSE non riguardano le sue manifestazioni di bugiardo patologico, le frottole usate durante la campagna elettorale del 2022 quando si era spacciato per milionario, addirittura un veterano di Wall Street. Seguendo il sacrosanto principio investigativo Follow the money! gli agenti dell’Fbi hanno scoperto una miniera di notizie succose, in sostanza una molteplicità di truffe ai danni dei suoi sostenitori, del fisco, praticamente di chiunque avesse a che fare con lui.

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Apriamo una parentesi: cosa sarebbe successo a un parlamentare italiano accusato di menzogne, appropriazione di fondi, o addirittura di essere uno strumento della camorra? Per molti anni, niente. Era il 2008 quando i magistrati antimafia chiedevano al Senato l’arresto di Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione camorristica. Richiesta respinta dalla maggioranza di destra alla Camera, alla mozione che chiedeva al governo Berlusconi di revocargli la delega a sottosegretario. Cosentino rimase un boss di Forza Italia in Campania e il suo processo iniziò solo nel 2015: venne condannato a 9 anni, aumentati a 10 nel processo di appello nel 2021. Ed è solo nel 2023, due settimane fa, che la Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna.

Per la giustizia americana non esiste l’immunità parlamentare e gabole concepite per proteggere i parlamentari felloni: si indaga, si ottiene il rinvio a giudizio, scattano le manette. Così torniamo a Santos: le accuse più pericolose sono quelle relative alla sua campagna elettorale, già sotto osservazione per le sue spericolate manovre finanziarie.

L’Fbi è in grado di provare che i contributi ottenuti dai suoi sostenitori per l’azione politica erano in realtà andati in spese personali, tra cui abiti firmati, cene, pranzi e party nel ristorante di una famiglia di suoi amici a Queens, oltre che pagamenti compiuti in vari stati americani, non giustificabili nel caso di un’elezione locale come quella di Long Island, uno dei cinque municipi di New York.

QUANDO SI APRIRÀ il processo, però, la giuria dovrà valutare altri elementi a carico di Santos, tra cui la truffa sui sostegni finanziari a chi era rimasto disoccupato a causa dell’epidemia: il politico repubblicano in erba aveva chiesto e ottenuto l’assegno di disoccupazione dal marzo 2020 all’aprile 2021, periodo in cui risultava impiegato in una delle varie società da lui fondate, con un salario di circa 10mila dollari al mese. L’avidità per aggiungere qualche migliaio di dollari ai suoi redditi non farà certamente buona impressione sui giurati.

La questione più importante, a questo punto, non è quando Santos finirà in cella ma cosa succederà della maggioranza che i repubblicani hanno alla Camera, che è di appena cinque seggi. Perderne uno significa mettere a rischio tutta la loro azione politica di opposizione e sabotaggio dell’amministrazione Biden.

Per questo lo speaker Kevin McCarthy ha finora difeso Santos e spera che, nelle more del processo, il giovane imbroglione possa continuare a sedere in Congresso e a votare. I democratici ne hanno richiesto l’espulsione ma serve una maggioranza di due terzi e i repubblicani cercheranno di rimandarla alle calende greche.