Dopo settimane di trattative, due mesi dalle ultime elezioni e nove mesi di governo ad interim, ieri si è celebrata la prima giornata della prima sessione di investitura del candidato Pedro Sánchez.

Si tratta, come gli ricordava velenoso il leader del partito popolare Pablo Casado, della sesta volta che Sánchez si sottopone a una sessione di investitura, e finora non ne ha superata neanche una.

È CAPO DEL GOVERNO dopo una mozione di sfiducia, ma le altre volte che ha cercato di ottenere i voti del Congresso spagnolo finora sono andate buche.
Tutto lascia pensare che stavolta però sarà la volta buona. «Tutto è bene quel che finisce bene», gli diceva Pablo Iglesias durante il dibattito per archiviare gli scontri dei mesi passati.

Ma addosso ai futuri soci di governo si sentiva forte l’alito di tutti i nemici del primo governo di coalizione del paese. Manovre giudiziarie ambigue (come quella dell’ultimo minuto contro Torra), persino la chiesa cattolica che invitava proprio ieri a «pregare per il futuro della Spagna» proprio come ai vecchi tempi, i nemici di questo accordo erano e sono molti, e molto forti. Ci sono stati anche cambi di fronte dell’ultimo minuto ieri: ora il nuovo governo dovrebbe contare con 167 fragili sì contro 165 no, e 18 astensioni.

AL LUNGO ELENCO di obiettivi politici e sociali del nuovo governo che ha enumerato Sánchez nel suo primo intervento (il «patriottismo sociale», l’ha definito), il futuro presidente, che è stato molto attento ai toni e alle parole usate per non urtare le sensibilità di tutti quelli che dovranno votarlo, ha ripetuto più di una volta che «la Spagna non si romperà» e ha assicurato in tutte le risposte ai deputati che l’apocalisse non è in arrivo – accettando il framing narrativo in cui l’ha spinto la destra.

Che ieri ha mantenuto un’aggressività straordinaria: Casado ha lanciato una serie di insulti a Sánchez e ai suoi alleati, tessendo un discorso frontista, paventando pericoli portati dagli antiSpagna (in cui entravano tutti: da Podemos, agli indipendentisti che avevano faticosamente accettato di astenersi, a partiti di tutti i colori con l’unico peccato di permettere che si formi un governo legittimo).

Quando a parlare è toccato al leader di Vox, Santiago Abascal, terzo partito della camera, non potendo rendere i toni ancora più aspri, è ricorso a tutta la retorica cara al partito, contro migranti, indipendentisti, Europa, ideologia di genere, e quant’altro.

Dopo lo scambio rude con Casado, Sánchez per la prima volta si è rivolto a Abascal (a luglio lo aveva ignorato volutamente) nel tentativo di smentire con dati la sua retorica fascista.

MA ANCORA UNA VOLTA è stato il discorso di Pablo Iglesias (che ha condiviso il suo tempo con gli altri leader del suo gruppo: Jaume Asens per En comú podem, Alberto Garzón per Izquierda Unida e Antón Gómez-Reino, Galicia en Común) che ha fatto il discorso di maggior respiro: ha chiesto ai movimenti sociali di fare pressione per «fare le cose bene», ha citato il movimento degli indignados (il 15-M), ricordando che è passato «un decennio perso» per «corruzione, tagli sociali, di diritti e libertà», e che è stata la destra ad aumentare «il conflitto territoriale».

Dopo aver ringraziato i socialisti, non ha avuto paura di citare e ringraziare i leader politici catalani incarcerati e in esilio, ha difeso il dialogo, e ha ammonito che «la giustizia sociale è il miglior vaccino contro l’estrema destra», che ha chiamato «destra, estrema destra e ultra ultra destra», che «non capisce la diversità della nostra patria e disprezza la maggioranza parlamentare» e cioè gli spagnoli, ha detto.

«Tradire la Spagna è attaccare i diritti dei lavoratori, regalare denaro pubblico alle banche, privatizzare i servizi pubblici, vendere gli alloggi pubblici a fondi-avvoltoio, rubare e finanziare illegalmente campagne elettorali».

Perché, come ha ricordato Alberto Garzón, le famiglie lavoratrici «non mangiano bandiere e nazionalismo».

Fra gli altri interventi molto attesi, quello di Gabriel Rufián, portavoce di Esquerra republicana: «avevamo detto che avremmo fatto sedere il Psoe a un tavolo di dialogo, e lo abbiamo fatto», ha rivendicato, per giustificare la posizione del partito agli occhi dell’indipendentismo meno amichevole con i socialisti.

«PREFERISCO CATTIVA STAMPA a non essere utile, benvenuto dialogo, benvenuta politica”. L’altro socio di Sánchez, il leader del partito nazionalista basco Aitor Estebán, ha ammonito che il nuovo governo «è una sfida e un’opportunità, ma nessuno dice che sarà semplice».

Inés Arrimadas, portavoce dei pochi seggi rimasti a Ciudadanos, ha ribadito l’opposizione a Sánchez: «Perché disprezza tanto i votanti costituzionalisti e tratta così bene i separatisti?».

Oggi il primo voto, che richiederebbe maggioranza assoluta. Martedì si ripete, e stavolta basterà la maggioranza semplice.