Il san Valentino festeggiato oggi, quello degli innamorati, è il frutto di una (con)fusione avvenuta attraverso i secoli di credenze e riti riguardanti santi dallo stesso nome. Principalmente due, o tre: il presbitero martire di Roma, quello di Terni (ricordati oggi) e il vescovo di Passau (il 7 gennaio). Il primo in realtà fu «santo» nel senso di benefattore, perché fece erigere una basilica sulla Flaminia con fondi suoi. Oltre quest’opera meritoria, non sappiamo molto di lui. L’altro, quello di Terni, fu un martire sepolto sempre sulla Flaminia, nei paraggi della città omonima. Una passio anteriore all’VIII secolo racconta che guarì da artrosi il figlio di un certo Cratone ma in seguito, non volendo abiurare la sua fede in Cristo, fu decapitato.

Il terzo Valentino, la cui vita è meglio documentata, operò a Passau (al confine tra Germania e Austria) e fu patrono degli epilettici. La sua iconografia in genere lo mostra con un ragazzo che giace al suo fianco, caduto a causa dell’epilessia (o di uno dei tanti mali psichiatrici con i quali veniva confusa), nel medioevo chiamata «mal caduco» e caducarii coloro che ne erano affetti, appunto dal sintomo più eclatante. Veniva anche chiamato «male di san Donato» o «di san Giovanni»: entrambi decapitati ed entrambi protettori dal male, insieme ai Re Magi, che «si prostrarono» (caddero) davanti alla greppia di Gesù. Altri nomi potevano essere «mal d’Avertin» o «d’Esvertin», dal latino vertigo, o «lunatici», da luna, perché – sosteneva Giulio Firmico Materno (IV secolo) – «rende le persone … soggette ad epilessia».

Questo Valentino veniva spesso confuso con quello di Terni: quindi gli attributi dell’uno passarono all’altro, come spesso anche la data della ricorrenza. Quindi anche l’antico patronato epilettico, altrimenti detto «male comiziale», dal fatto che all’apparire di una sua manifestazione ogni comizio veniva sciolto, avendo gli dèi manifestato la loro volontà contraria.
Sull’origine di questo protettorato resta di qualche valore l’antica ipotesi di Martin Lutero riguardo l’assonanza tra il nome del santo, Valentins e il sintomo della «caduta», che nella sua lingua si dice fallen, cadere, e fallsucht il male, cioè «cercare la caduta». Così come san Biagio, festeggiato qualche settimana fa, è protettore della gola e del respiro (anche) per l’assimilazione fonetica tra blasen, in tedesco «soffiare», e il suo nome.

San Valentino continua sempre a proteggere gli affetti da epilessia: nel Veneto, a Monselice (Padova), centinaia di amorevoli madri vanno oggi in pellegrinaggio alle cieséte, le Sette Chiese, perché i loro bambini possano baciare la reliquia di san Valentino e mettersi al collo una piccola chiave, la ciave de San Valentin, che curerebbe l’epilessia. Un tempo, secondo la tradizione raccolta dallo scomparso Dino Coltro, la chiave terapeutica doveva essere acquistata con i soldi «fati de carità da 33 done maridade, un soldo a testa». Similmente un’antica credenza inglese voleva che al collo si portasse una collana fatta da un fabbro non sposato con l’argento di trenta monete da sei pence, chieste la domenica davanti a una chiesa ad altrettanti uomini, anch’essi non sposati.

Attualmente però il nostro santo è il «santo degli innamorati», che forse solo con una forzatura potremmo definire «lunatici». Ma la spiegazione di questo patronato è complessa e riguarda anche la circolazione di un certo tipo di letteratura popolare «minore».
Geoffrey Chaucer, padre della letteratura inglese, nel suo Il parlamento degli uccelli (ca. 1382) accenna al fatto che nel giorno di san Valentino «ogni uccello sceglie la sua compagna». Ora qui non è importante se la tradizione l’abbia inventata Chaucer o l’abbia presa dalla tradizione popolare, fatto sta che da allora prolifereranno, nella tradizione franco-inglese, brevi componimenti letterari di carattere «amoroso» (rondeau, ballate e simili), che cantavano l’amore e soprattutto l’amata, spesso chiamata «Valentina», che diventa così nome comune. Analogamente in Germania troviamo le Freundschaftskarten, pegni d’amore e d’amicizia in rima su cartoncini decorati. Entrambe le forme letterarie popolari seguirono nel XIX secolo gli emigranti in America, per poi ritornare, commercializzata, da noi il secolo seguente, come Halloween, Santa Claus e altri santi e riti «inventati».

Ma Valentino non avrebbe avuto tanto successo se non fossero stati presenti, in Italia, analoghe usanze e rituali, magari rimossi o dimenticati, dedicati all’«amore»: non è febbraio il mese che la ricerca storica ed etnografica ci dicono essere il più ricco di matrimoni e di riti che creano nuove coppie? Come si diceva un tempo in Piemonte, «Carvè ar va, Pasqua la ven! Chi ch’a s’è nent marià ist’ani as mariarrà ist’an ch’ven!»: Carnevale va, Pasqua viene! chi non s’è sposato quest’anno, si sposerà l’anno prossimo!