E se la trattativa non ci fosse stata?: «Vivremmo in un’Italia più democratica, Falcone e Borsellino ci sarebbero ancora, due persone in gamba». Sabina Guzzanti risponde con l’energia vulcanica nota dai tempi dalle sue performances televisive a Avanzi e gli ormai sei film di denuncia, alle domande su La trattativa presentato ieri sera, fuori concorso.

«L’idea per questo film è nata durante l’intervista a Massimo Ciancimino (figlio dell’ex sindaco di Palermo nonché onorevole Vito Ciancimino, ndr) per Draquila. Una lunga conversazione dalla quale erano emerse cose che mi avevano colpito, talmente sconvolgenti tanto che mi è sembrato impossibile che nessuno le avesse mai raccontate». È iniziato così il percorso di ricerca e di studio: «Fonte preziosa l’archivio di Radio radicale: dispone di tutte le registrazioni dei processi a mafiosi».

Sabina si è ascoltata, con attenzione, ore e ore di fitte conversazioni tra avvocati, magistrati, pentiti, mafiosi, politici, capi di polizia. Voleva capire come funziona un processo: «Ascoltando quelle lunghissime sedute ho avuto momenti di scoramento, di depressione e paura. Mi era venuta quasi la voglia di andarmene da questo paese. Poi è scattata la molla; dovevo girare questo film per permettere a tutti, anche a chi non legge i giornali, non segue i tg, di comprendere cosa è successo alla nostra democrazia nel corso di questi ultimi venti anni».

La trattativa cerca di fornire spunti di riflessione per comprendere com’è stato possibile un cambiamento talmente rapido a partire dal 1992/93, l’anno della trattativa del titolo: «È importante sapere, è il non sapere che rende depressi», sottolinea Sabina Guzzanti dal palco in sala stampa, «il cinema si fruisce in modo collettivo, va visto insieme nelle sale. Questo lavoro, penso, possa infondere coraggio». Il ministero non ha dato né un contributo, «ma questo è ovvio», sussurra con quel tono inquietante, né il riconoscimento «di interesse culturale» che avrebbe permesso gli sgravi fiscali.

A chi cerca analogie col Belluscone di Maresco replica: «il mio non un film su Berlusconi», semmai sulle complicità arrivate da sinistra e dal centrosinistra. «Matteo Renzi è il prodotto di questo tipo di politica, sta scrivendo la riforma costituzionale con Berlusconi e l’avallo della criminalità organizzata, da cui per altro erano nate le varie leghe populiste, insomma è sempre la materia del nostro film. Renzi è il prodotto del crollo di un’alternativa che prima del 1992/93 era ancora possibile, perché un senso di giustizia c’era. Basta pensare alle leggi elaborate da Falcone, per una giustizia allora davvero fondata sull’uguaglianza. Se teniamo conto anche di Mani pulite. Ora si dà il via a una nuova era e al contempo si scrive la parola fine a quell’idea di giustizia, vista la nuova riforma che va nella direzione dei criteri posti dai mafiosi».

Cosa vorrebbe dire Sabina Guzzanti a Matteo Renzi? «Spero che si guardi il film e la smetta!». Materiali d’archivio abbinati a scene recitate (rigorosamente basate su fatti reali) rafforzano la narrazione includendo riferimenti alle atmosfere di film sulla mafia come Il padrino che ampliano la realtà all’immaginario collettivo, mischiandole. «Amo le immagini d’archivio, quello sguardo dolce di Borsellino, come rifarlo? Lo stacco netto tra la processione, messa in scena, in cui si parla di voler ‘sparacchiare’, e il brano del tg che annuncia la riunione tra Gelli e Ciancimino accresce l’aspetto surreale».

Nel film si torna a parlare di Giorgio Napolitano che avrebbe aiutato Nicola Mancino… «Il film è inattaccabile per quanto riguarda il contenuto, ogni parola è controllata almeno un migliaio di volte, complice Giorgio Mottola, giornalista di Report, autore di un libro sull’argomento. Si narrano i punti di vista di alcuni personaggi coinvolti, avevo scritto diverse sceneggiature, finché mi è capitato di vedere il corto di Elio Petri, in cui Gian Maria Volonté esordisce dicendo: ‘siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo e…’. È stata la svolta nella scrittura di La trattativa! Ecco la chiave per unire finzione e realtà, per passare rapidamente da una all’altra, in piena libertà creativa tra messinscena brechtiana – so che non si dovrebbe più dirlo – e umorismo. Sappiamo che tutto ciò che si racconta è noto, che le colpe sono quelle che sono e di chi sono».

Nello spiegare a un giornalista straniero il meccanismo della macchina giudiziaria italiana, Guzzanti fa capire a tutti che ormai si aspettano i risultati di un processo per parlare, «prima non era così, un processo cerca e/o trova i colpevoli, l’opinione pubblica e politica si può far sentire, sempre!».