La redazione consiglia:
Shakespeare, come dare forma al sentimentoMario Martone debutta al Piccolo Teatro: è questa la prima e più «clamorosa» novità da segnalare, perché quello che è forse il più importante autore di spettacolo in Italia, tra palcoscenico e grande schermo, conquista una messinscena su quello che grazie a Strehler e Ronconi è il luogo deputato alla maggiore attenzione, anche internazionale. È quasi un debutto (dopo un’isolata prova molti anni fa) anche la scelta di Shakespeare, con il testo forse più famoso, entrato fin dal titolo nel lessico universale corrente: Romeo e Giulietta. Non solo, ma questo debutto trasforma la scena della sala Strehler (nota per la sua «smodata» ampiezza e larghezza) in una innaturale quanto fascinosa foresta. Margherita Palli (che per Martone aveva già creato mirabolanti ambientazioni nell’opera lirica) ora trasforma l’intera visuale in una fitta e verdeggiante boscaglia di piani, dirupi e slarghi che racchiude, protegge o crudelmente dilania l’intero racconto, con tutte le sue scene «forti».La splendida scenografia di Margherita Palli, il talento dei giovani protagonisti

NIENTE «BALCONE» da cartolina turistica quindi (ci si affaccia tra le frasche, da tubi Innocenti), e niente visuali sdolcinatezze oleografiche, niente coreografie febbrili e languide (alla Zeffirelli), e neanche l’horror della tragica conclusione nella cripta di frate Lorenzo (che nei ricordi infantili del film di Castellani premiato a Venezia segnava il picco della paura). Una scenografia da Oscar. È una società in movimento, quella messa in scena da Martone, con un punto di vista che allarga lo zoom sulla condizione e sul sentimento giovanile, naturalmente di oggi. Un altro straordinario punto di forza dello spettacolo sono i protagonisti, Francesco Gheghi e Anita Serafini, entrambi giovanissimi (lui 19 lei 15 anni) che danno corpo credibile a quei sentimenti che tutti conosciamo, senza retorica alcuna.L’intera squadra dei giovani amici e parenti delle famiglie Capuleti e Montecchi proviene del resto dalla scuola per attori del Piccolo, ed è un piacere vederli farsi carico di una prova tanto impegnativa.

IN MEZZO a loro pochi nomi noti, da Lucrezia Guidone e Michele Di Mauro quali genitori Capuleti (lui come sempre tendente all’interpretazione), la sempre scatenata Licia Lanera (la nutrice originaria qui trasformata in zia), e bravissimo Gabriele Benedetti, un frate Lorenzo grungies e pensoso, che invece che nella cripta gira tra le frasche su una jeeppetta elettrica.
Non è pura«“modernizzazione» quella che Martone conduce, è piuttosto la scelta di scrostare sapientemente la polvere accumulatasi su una storia «vecchia» di 500 anni, e quindi eterna, mostrandone la sua capacità di parlarci ancora oggi. Un criterio già applicato, con grandi risultati in opere liriche e in testi classici che hanno scoperto inquietanti analogie con l’oggi (dall’Otello verdiano realizzato a Napoli alla Morte di Danton di Buchner realizzata allo stabile torinese, per fare i primi due esempi che vengono in mente).

PER QUESTA OPERAZIONE che certo voleva essere ancor più radicale, il regista ha chiesto una traduzione dell’originale shakespeariano ad hoc, diffidando della classicità anticheggiante di quelle esistenti. Chiara Lagani chiamata a questo compito ha forse ceduto a qualche semplificazione eccessiva (non è una scorciatoia la «parolaccia» o l’espressione gergale da Famiglia Cecioni, come papà Capuleti che invita gli ospiti a «farsi due spaghi aglio e oglio»). Ma la complessità dell’operazione condotta da Martone supera anche questo pericolo, e la scena che si dischiude allo spettatore è talmente forte da condurre a forza nell’intimità di ognuno. Il regista ha in qualche modo realizzato un film dal vivo, in un gioco di interni e esterni che raramente si è visto a teatro. E che conquista totalmente lo spettatore, tanto quelle figure in palcoscenico sembrano parlarci di noi in platea. Shakespeare sembra perdere la retorica della leggenda e del tempo, e in quell’effetto specchio, si arriva a intuire la potenza e il successo del teatro elisabettiano. Quando nel cerchio magico del Globe, tra un morso di cibo e un bicchiere di birra, ridevano e piangevano della propria vita e di tutti i sentimenti. Repliche fino al 6 aprile.