L’espressione verbale «Roma capitale» rimanda all’ente territoriale capitolino, istituito nel 2010, che gestisce in autonomia e con varie competenze un territorio esteso di quasi 1300 Km quadrati. «Roma capitale» funge anche da etichetta, priva di scadenza, applicabile a progetti che possiedono la velleità di qualificare la città sotto il profilo della sostenibilità ambientale e della valorizzazione del territorio: intenti (che hanno dato risultati deficitari) con i quali si è misurata ogni amministrazione succedutasi in Campidoglio negli ultimi trent’anni. La neo-sindaca del M5S, subito dopo il pronunciamento del «No» alle Olimpiadi nello scorso settembre, ha invocato un patto per «Roma capitale» con il governo per l’assegnazione di fondi da destinare a una città disagiata come Roma. In nome di «Roma capitale» insomma c’è stato nel corso dei decenni un susseguirsi di idee progettuali. Alcune delle quali però conservano valenza ancora attuale. Come a esempio il «Progetto per l’area archeologica centrale» (o Progetto Fori). A cui era in parte connesso il cosiddetto «Asse attrezzato»: un piano di ampio respiro poi denominato «Sistema direzionale orientale». Il quadro temporale è quello dei primi anni ’80: al Campidoglio, dopo la prima amministrazione di sinistra del sindaco-storico dell’arte Carlo Giulio Argan, governavano le giunte dei sindaci comunisti Luigi Petroselli e Ugo Vetere.

L’AREA ARCHEOLOGICA

Nel dibattito urbanistico su «Roma capitale», in quel periodo, s’inseriva uno studio per il recupero e la sistemazione dell’area archeologica centrale di Roma. Si trattava della progettazione urbanistica di un enorme parco archeologico che lambendo piazza Venezia andava a estendersi fino alla via Appia antica. L’architetto Leonardo Benevolo e il giornalista-ambientalista Antonio Cederna (che da deputato sul finire degli ’80 presenterà un disegno di legge per «Roma capitale»), protagonisti negli ambiti della pianificazione territoriale e della tutela del patrimonio artistico-paesaggistico per l’intero secondo Novecento, furono i primi (si aggiunga l’impegno ininterrotto, e appassionato, per Roma dell’urbanista Italo Insolera) a occuparsi ai principi dei ’70 dell’area dei Fori e del parco dell’Appia antica. Per qualsiasi intervento progettuale, in quelle aree, si rendeva preliminare la soppressione di arterie stradali di attraversamento e la ricostituzione di spazi verdi. Sul finire del decennio l’archeologo Adriano La Regina, responsabile della soprintendenza alle antichità di Roma, denunciava lo stato di degrado del Foro romano e qualche anno dopo proponeva al sindaco Petroselli la pedonalizzazione della via dei Fori imperiali.

GLI ESPERTI

Torniamo al progetto per l’area archeologica centrale che prendeva avvio nel 1984, con sindaco il comunista Ugo Vetere. Il soprintendente La Regina aveva commissionato lo studio dell’area a un gruppo di esperti (archeologi, urbanisti, botanici, studiosi dei flussi di traffico) coordinato da Benevolo, fautore del ripristino integrale dei Fori mediante un rinnovamento urbanistico della città. Il lavoro, corredato da un testo che racchiudeva le proposte d’intervento degli specialisti, venne portato a compimento e presentato nel 1986 in Campidoglio (intanto si era reinsediata una giunta democristiana) al sindaco Nicola Signorello e al ministro per i Beni culturali Antonino Gullotti. L’assetto urbanistico nel cuore di Roma capitale – si sosteneva – sarebbe passato dall’apertura di un vasto parco archeologico.

IL PARCO

L’area del parco avrebbe avuto uno sviluppo di 250 ettari all’interno delle Mura Aureliane (non si conoscevano altri casi al mondo di aree archeologiche urbane di tale estensione) e di 2500 ettari nella campagna meridionale romana dell’Appia antica vincolati dall’allora vigente piano regolatore generale. (Gli strumenti urbanistici di riferimento erano il Prg del 1965 e la Variante del 1978). Con la valorizzazione del centro monumentale di Roma si otteneva un parco comprendente Fori imperiali, Foro romano, Colosseo, Circo Massimo, Terme di Caracalla, Sepolcro degli Scipioni, pendici dei colli Palatino, Oppio e Celio, da precludere al grosso traffico motorizzato e collegare mediante porta San Sebastiano al parco dell’Appia antica. Fino ad allora l’area dei Fori era stata raffigurata in un imponente canale di traffico, proveniente da nord-ovest e con direzione Eur, che si snodava attraverso i tracciati stradali di via dei Fori imperiali – via di San Gregorio – via delle Terme di Caracalla – via Cristoforo Colombo.

DIREZIONE EST

Il progetto già noto come «Sistema direzionale orientale», che consisteva nel decentramento globale dell’apparato dei ministeri nel versante est della città, sarebbe rientrato attualissimo nello studio dei Fori. I quali avrebbero smessa la funzione di nodo nevralgico della circolazione, pur restando parzialmente percorribili. L’infrastruttura viaria di sostegno allo Sdo (Asse attrezzato) conservava invece la funzione primaria di arteria tangenziale nord-sud al cuneo verde del parco dell’Appia, consentendo il collegamento dei quartieri del settore nord-orientale con il polo dell’Eur e i quartieri meridionali: i loro abitanti potevano congiungersi o percorrendo il tracciato del Grande raccordo anulare o attraversando il centro storico e l’area archeologica centrale. La limitazione al traffico nell’area dei Fori sarebbe diventata realtà con la realizzazione della testata di via Cavour (ingresso al parco da nord) e con il blocco della penetrazione dalla via Cristoforo Colombo a sud, in prossimità di porta Ardeatina.

VIA DEI FORI IMPERIALI

Come alternativa al flusso veicolare che intersecava i Fori, c’erano almeno tre ipotesi: l’utilizzo del sistema ferroviario urbano che circuisce marginalmente l’intero centro storico; l’impiego di un moderno tronco di metropolitana (circa sette chilometri) che penetrasse il sottosuolo del centro storico da nord a sud congiungendo il Flaminio all’Ostiense; il percorso della via d’acqua rappresentata dal Tevere. Secondo il progetto di Benevolo, diverse strade che si aprono fra i monumenti di Roma erano da smantellare. La più nota di esse, il vialone dei Fori imperiali (già via dell’Impero) tracciato negli anni ’30, doveva finire polverizzato per consentire gli scavi dei Fori di Vespasiano, di Nerva, di Augusto e Traiano. Stessa sorte per altre strade divenute celebri per effetto della retorica del regime: via di San Gregorio (ex via dei Trionfi), via del Teatro di Marcello (ex via del Mare). Al posto di quelle strisce d’asfalto si restituiva, compatto, l’originario tessuto archeologico, rendendo accessibili i percorsi pedonali e di autobus-navetta.

Anche per l’incalzare di problematiche sempre più stringenti in una città preda del malgoverno e del malaffare, il Progetto Fori di Roma capitale, dapprima accantonato, è stato del tutto archiviato intorno all’anno Duemila. Nello stesso periodo la soprintendenza ai Beni architettonici imponeva un vincolo di tutela sulla strada più rappresentativa dell’area: quella via dei Fori imperiali sublimata e infamata nei suoi oltre ottant’anni di storia.