Non sono stato mai iscritto al Pci. Ma ho sempre considerato Ingrao tra i miei maestri. Ho 30 anni meno di lui. Avendo avuto, come tutta Democrazia Proletaria, punto di riferimento ideale in Bloch, nella sua ricerca tra democrazia e socialismo, nella sua utopia come percorso quotidiano di conflitto e trasformazione, mi hanno sempre culturalmente ed emotivamente attratto, in Ingrao, il suo costante richiamo al «principio speranza» (si può essere sconfitti, non vinti), il suo «volere la luna», per l’appunto.

L’elogio del dubbio, la ricerca permanente sono stati spartiacque contro ogni dogmatismo e contro ogni populismo gaglioffo, del potere (Renzi insegna). Non volendo aggiungere nulla ai ricordi, molto approfonditi, già pubblicati sul giornale, posso permettermi di ricordare Ingrao trascrivendo un pezzo dell’introduzione di Lucio Magri, che ci manca molto, del suo bel libro Il sarto di Ulm?

Lo ricordava Luciana Castellina ieri. «In una delle affollate assemblee che dovevano decidere se cambiare nome al Partito comunista italiano, un compagno rivolse a Ingrao una domanda: dopo tutto ciò che è successo e sta succedendo, credi proprio che con la parola comunista si possa ancora definire un grande partito democratico e di massa…?

Ingrao,che aveva già ampiamente esposto le ragioni del suo dissenso da Occhetto…rispose, scherzosamente ma non troppo, usando un famoso apologo di Brecht , «il sarto di Ulm». Quell’artigiano, fissato nell’idea di apprestare un apparecchio che permettesse all’uomo di volare, un giorno, convinto di esserci riuscito, si presentò al vescovo e gli disse: eccolo,posso volare. Il vescovo lo condusse alla finestra dell’alto palazzo e lo sfidò a dimostrarlo. Il sarto si lanciò e ovviamente si spiaccicò sul selciato.

Tuttavia, commenta Brecht, alcuni secoli dopo gli uomini riuscirono effettivamente a volare». Ingrao non ha mai voluto che un’esperienza storica di massa ed un patrimonio teorico fossero affidati, per dirla con Marx, alla «critica roditrice dei topi».