Risparmiare sulle pensioni è un «classico» dei governi post Fornero. Dal 5 dicembre 2011 ogni provvedimento che ha cercato di allentare le rigidità della riforma più odiata dagli elettori italiani si è scontrato con la logica dell’austerità. Dalle sette salvaguardie per gli esodati – costate 11 miliardi ma che hanno lasciato ancora fuori 6-8mila lavoratori che non hanno certezza di essere salvati quest’anno – all’Ape Social di Renzi e Gentiloni – 1,5 miliardi stanziati, solo 900 utilizzati – ogni stanziamento è passato sotto le forche caudine della Ragioneria generale dello stato. I custodi dell’austerità di via Venti Settembre hanno sempre imposto di accantonare molti più soldi del necessario. I paletti messi per ridurre la platea potenziale non impedivano di chiedere che venissero assicurate coperture per tutte le persone interessate ai provvedimenti di anticipo pensionistico o tutela, anche se era scontato che non tutte avrebbero chiesto di farne parte. In altre parole: non si può dire che «Quota 100 è una scelta e non tutti la sceglieranno e quindi noi mettiamo i soldi solo per quelli»: i soldi vanno messi per tutti.

Per questo suonano quanto meno poco credibili le parole del sottosegretario leghista Claudio Durigon – «abbiamo evidenza che le due misure che contraddistinguono la legge di Bilancio costeranno meno del previsto» – sui possibili risparmi di Quota 100. Per risparmiare rispetto ai 6,7 miliardi sul 2019 del fondo inserito in legge di bilancio per «correggere la riforma Fornero» e ridurre il rapporto deficit/Pil per l’anno prossimo dall’attuale 2,4% per cento le strade possibili sono dunque due.

LA PRIMA È RITARDARE l’entrata in vigore del provvedimento; la seconda è ridurre la platea di pensionandi potenzialmente interessati. Altre soluzioni sono semplicemente prese in giro dei pensionandi stessi e degli italiani tutti.

PIÙ SINCERO DI DURIGON è parso infatti il presidente della commissione Bilancio della camera Claudio Borghi, anch’esso leghista. Che sui tempi di attuazione di Quota 100 ha detto ieri mattina: «Ci vuole il tempo materiale di produrre e votare i decreti attuativi, mi sembra chiaro che c’è stato un lieve ingorgo da tutte e due le parti (pensioni e reddito di cittadinanza, ndr)». Anche Borghi però non è esente da bugie quando sostiene che «dal punto di vista contabile gli appostamenti che son stati fatti sono per l’intero anno. Basta che Quota 100 parta a febbraio e il risparmio è fatto». Sulle pensioni infatti la versione del governo è sempre stata quella di prevedere le cosiddette «finestre»: anche chi avrà i due requisiti richiesti per Quota 100 – 62 anni di età e 38 di contributi – soddisfatti dal primo gennaio 2019 avrebbe aspettato fino al 1° aprile; chi lo soddisferà dal 2 aprile avrebbe atteso fino al primo agosto e, infine, chi lo soddisferà dal 2 agosto avrebbe atteso fino al primo dicembre per andare in pensione.
In questo modo il risparmio esisteva già e portava ad una cifra di 6,7 miliardi, considerata sempre troppo alta da tutta una schiera di tecnici a partire dal presidente dell’Insp Tito Boeri.

SEGUENDO IL FILONE CRITICO si è portati a pensare che la seconda possibilità – ridurre la platea dei lavoratori potenzialmente pensionabili – sia la più probabile. Grande fautore e sostenitore primo di questa strada è Alberto Brambilla. Dopo mesi di ombra, l’ex sottosegretario al lavoro con Maroni al tempo dello «scalone» e consulente pensionistico di Salvini è tornato in auge rilanciando la sua ricetta: «ricalcolo contributivo dell’assegno dopo il 1995» anche per chi andrebbe col retributivo (e cioè aveva già 18 anni di contributi a quel tempo) e «tetto di due anni ai contributi figurativi». Se il primo paletto taglierebbe l’assegno del 10 per cento, il secondo escluderebbe da Quota 100 buona parte dei lavoratori privati che hanno subito la crisi e sono stati in cassa integrazione o altri ammortizzatori sociali dal 2008 a oggi.

I CONTI DI BRAMBILLA sono espliciti: per 430mila possibili pensionandi nel 2019 servono «tra i 13 e i 15 miliardi». Con questi paletti basterebbero gli attuali 6,7 miliardi.
Il tutto però porterebbe ad aumentare i costi nel 2020 e nel 2021. Rendendo quindi certo che Quota 100 sarà un provvedimento una tantum, un favore alle imprese che si libereranno dei lavoratori più anziani senza spendere un euro.