Il prossimo 10 giugno oltre 800 comuni andranno alle urne. Lo faranno in un contesto economico-finanziario di pesante riduzione delle risorse e dentro vincoli esogeni di bilancio, che rischiano anno dopo anno di trasformare in farsa quello che in passato era un importante appuntamento della democrazia.

Ai candidati sindaci che, nella quasi totalità, attraverseranno la campagna elettorale con l’unica preoccupazione di dimostrarsi alfieri della stabilità dei conti, occorre ricordare alcuni dati.

Il primo è la drastica contrazione delle risorse, portata avanti dai governi degli ultimi anni; per fare solo un esempio, mentre l’imposizione fiscale dei Comuni nel periodo 2010-2016 è aumentata di 7,8 miliardi, le risorse complessive a disposizione degli stessi nel 2016 erano inferiori di 5,8 miliardi rispetto al 2010.

Il dato dimostra come le politiche di austerità abbiano avuto l’obiettivo primario di mettere i Comuni con le spalle al muro per obbligarli a mettere sul mercato il patrimonio pubblico, privatizzare i servizi e mercificare i beni comuni.

Il secondo dato è l’azzeramento degli investimenti; la cosiddettà stabilità dei conti, per perseguire la quale i Comuni realizzano saldi primari (entrate maggiori delle uscite) da sei anni consecutivi, ha come contraltare la totale assenza di investimenti, fino al paradosso per cui i Comuni hanno addirittura risparmiato – per incapacità delle strutture smantellate negli anni di garantire l’operatività- 2,3 miliardi in più di quanto imposto dal pareggio di bilancio.

Se questo è il quadro, le comunità territoriali che andranno al voto a giugno rischiano di assistere all’ennesima replica del medesimo copione: sindaci che promettono mari e monti sul fronte dei diritti e dei servizi nel momento stesso in cui giurano di rispettare i sacri vincoli della «stabilità» finanziaria.

Vediamo allora almeno tre elementi, rispetto ai quali le comunità territoriali possono pretendere da subito l’avvio di un ’inversione di rotta.

  1. Annullamento dei derivati e drastica riduzione degli interessi sui mutui. La Decisione del 4/12/2013 (pubblicata nel 2016) della Commissione Europea sulla manipolazione da parte delle banche del tasso Euribor (parametro con cui sono stati stipulati mutui e contratti derivati) permette la richiesta di annullamento di tutti i contratti derivati e di tutti i mutui a tasso variabile accesi nel periodo 29/09/2005-30/05/2009, con il contestuale risarcimento ai Comuni di tutti i flussi negativi addebitati (per i derivati ) e di tutti i sovra-interessi pagati (per i mutui).
  2. Radicale modifica del ruolo di Cassa Depositi e Prestiti. Poichè i mutui di cui sopra sono in larghissima parte stati accesi con Cassa Depositi e Prestiti, i Comuni possono finalmente riaprire una vertenza sul ruolo di Cdp per chiedere che il risparmio postale dei cittadini, che Cdp gestisce (oltre 250 miliardi!), venga utilizzato per finanziare a tasso agevolato gli investimenti degli enti locali, invece di continuare a praticare tassi di mercato, quando non truffaldini, come quelli applicati nel periodo indicato dalla sentenza della Commisisone Europea.
  3. Libero utilizzo dell’avanzo di amministrazione. Una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 247/17) afferma la necessità di assicurare la piena disponibilità dello stesso agli enti che lo realizzano, mettendo finalmente fine alla follia del patto di stabilità e del pareggio di bilancio che impedivano ai Comuni di spendere pur avendone la disponibilità in cassa.

Ecco tre punti sui quali misurare chi si candida a rappresentare gli abitanti di un territorio rispetto a chi cerca di farsi eleggere solo per continuare a facilitare la svendita della ricchezza collettiva.

Ma sono tre punti che richiedono comunità territorialli in campo e mobilitate per riprendersi il«comune».