«Ricordare i morti: lottare per i vivi». Lo slogan è quello che meglio interpreta lo spirito del Workers Memorial Day, la giornata internazionale dei lavoratori deceduti, infermi e infortunati a causa del lavoro che viene celebrata oggi in tutto il mondo. È stato coniato da Tommy Harte, attivista di una rete di associazioni che si battono per il miglioramento della salute, della sicurezza e del benessere sul lavoro: la Hazard’s Campaign. Era il 1992 quando, anche in Gran Bretagna, fu riconosciuta una delle tragedie più sconvolgenti del capitalismo contemporaneo che però è stata trasformata in un evento ovvio e indifferente.

TUTTO ERA PARTITO tre anni prima negli Stati Uniti quando, nel 1989, il sindacato Afl-Cio ottenne di onorare le centinaia di migliaia di lavoratori uccisi e feriti sul lavoro. Il percorso è culminato nel 2001 quando l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha dichiarato la «Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro».

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DOPO LE ULTIMI STRAGI nel cantiere Esselunga a Firenze e nella centrale idroelettrica Enel di Suviana, i sindacati in Italia hanno continuato a urlare«Ora basta» in cortei e scioperi. Cgil e Uil contestano la «patente a crediti» istituita dal governo Meloni nell’ultimo contestato «Decreto Pnrr». Si tratterebbe di uno strumento inadeguato per contenere una tragedia quotidiana che nel 2023 ha ucciso 1041persone e ha ferito oltre mezzo milione ufficialmente censiti. Cgil e Uil hanno chiesto «una “vera” patente a punti” e non una leggera “patente a crediti”».

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SONO IN DIVERSI a chiedersi se sia sufficiente uno strumento ispirato all’economia comportamentale per fermare un capitalismo che considera i lavoratori vite sacrificabili. La teoria del nudge è contestata anche perché non responsabilizza e permette comportamenti opportunistici alle spalle di chi muore e di chi è ferito. E forse non bastano premi e penalizzazioni per cambiare l’equazione: tanto più la ruota macina vittime, tanto più cresce l’impotenza davanti a un destino apparentemente irreversibile.

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«IL SISTEMA sanzionatorio non è sufficiente per contenere questo fenomeno – ha detto Paolo Ricotti, presidente del patronato Acli – soprattutto se i controlli continuano ad essere così pochi. Occorre fare di più perché la questione è culturale, a cominciare dalla scuola. Non mancherebbero le risorse per contrastare tali fenomeni. L’Inail ha una previsione di avanzo economico pari a 2 miliardi di euro nel 2024».

L’ILO ha pubblicato martedì scorso un nuovo rapporto sui rischi per la salute dei lavoratori legati al cambiamento climatico. A dispetto della primavera più fredda del solito quest’anno, anche nell’estate imminente dovremo affrontare un caldo aggressivo che ha mette a rischio la condizione di oltre il 70% della forza lavoro globale. Secondo le stime dell’Ilo nel 2020 80.800 persone hanno subito lesioni sul lavoro a causa dell’esposizione al calore e 67 persone sono morte a causa del lavoro in condizioni di caldo estremo.

I LAVORATORI più esposti sono quelli pagati peggio. Gli immigrati, i braccianti, gli edili, i riders, i lavoratori della logistica e quelli retribuiti in modo frammentario e intermittente. E ci sono anche i pensionati. Nel 2023 il gruista di 75 anni Ciro Adinolfi è morto di infarto davanti al figlio mentre lavorava nel cantiere di un magazzino Amazon con temperature prossime ai 40 gradi. Lo ha ricordato l’Ilo nel suo rapporto.

LA CONFEDERAZIONE europea dei sindacati (Ces), in occasione della campagna elettorale per le europee dell’8-9 giugno, ha presentato un manifesto in cui chiede di adottare una legislazione europea che stabilisca i limiti della temperatura superati i quali sarà obbligatorio interrompere il lavoro. «Adattare gli orari di lavoro per evitare le ore più calde della giornata – ha detto Giulio Romani, segretario della Ces – È un modo di buon senso per proteggere i lavoratori e mantenere la produttività».

C’È DA CHIEDERSI se sia invece la ricerca della «produttività» a creare le premesse per la strage alla quale si vuole porre rimedio. La contraddizione tra il capitale e la forza lavoro è l’elefante nella stanza. Tutti lo conoscono, ma nessuno lo vede.