Da sempre uno dei piatti forti del Sundance, nel programma 2020 il documentario era declinato con ricchezza e curiosità molto maggiori di quelle che in genere caratterizzano una selezione non fiction storicamente improntata all’insegna del film di denuncia sociale e del reportage investigativo. In quella tradizione molto consolidata, anche quest’anno il festival di Redford ha dato un posto di rilievo (il sabato pomeriggio) a titoli come il rozzo e intricato documentario/inchiesta sull’omicidio di Adam Khashoggi, The Dissident, diretto da Brian Fogel . Il regista dell’ Oscar 2017 (per Icarus , che vinse anche il Sundance di quell’anno) – oltre ad assicurarsi la collaborazione delle autorità giudiziarie turche e della fidanzata del giornalista saudita fatto a pezzi dagli uomini del principe MBS- ha usato con massimo effetto splatter la trascrizione dell’audio di quanto è avvenuto all’interno del consolato saudita di Istanbul, corredato di rantoli (di Khashoggi), battute macabre dei commendo saudi e a partire dalla raggelante domanda: “E’ arrivato l’agnello sacrificale?” -quando il giornalista del “Washington Post” è entrato nell’edificio da cui non sarebbe mai uscito vivo, per ritirare un documento che gli serviva per sposarsi .

E’ stato però un piacere scoprire nella selezione anche documentari più liberi e formalmente avventurosi, come Time, di Garrett Bradley (di cui abbiamo già parlato sulle pagine del quotidiano e che ha vinto il premio per la miglior regia), The Mountain Are a Dream That Call To Me, breve incontro sulle pendici dell’Annapurna, tra una solitaria signora australiana e un ragazzo nepalese diretto a Dubai (la regia è del nepalese/newyorkese Cedric Cheung-Lau); o Bloody Nose, Empty Pockets, un comico/commovente, Tutto in una notte, in un bar di Las Vegas che sembra quello del film di Amir Naderi, Vegas, diretto dai fratelli Bill e Turner Ross (Western, 2015), che si vedrà anche al Panorama di Berlino. Altra bella sorpresa, i primi due lungometraggi prodotti dal “New York Times”. Controtendenza rispetto al loro settimanale The Weekly, che è praticamente un promo per le grosse inchieste che appaiono sul giornale, i doc sono veri oggetti di cinema. Il secondo titolo, oltre a Time, è Some Kind of Heaven, del cortista Lance Oppeneim, prodotto anche da Darren Aronofski. Si tratta di un viaggio -mezzo gotico mezzo dolce- nel mondo parallelo di The Villages, una nota e vastissima comunità per anziani della Florida, a cavallo tra una Disneyland per ottuagenari e -rimanendo in tema Peter Pan, l’Isola che non c’è. Tra i grandi favoriti del festival -e un piccolo trattato di filosofia, direttamente dai boschi del Piemonte- la coproduzione Italia/USA/Grecia The Truffle Hunters, di Michael Dweck e Gregory Kershaw. Tra i produttori, Luca Guadagnino.