Referendum
In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss
Referendum, gerundivo neutro sostantivato del verbo latino referre, riferire. I greci sono stati convocati ad referendum, per riferire, e hanno – con grande forza – mandato a dire all’Europa: basta con l’austerità, con una politica di rigore a senso unico che punisce i più poveri, i più deboli.
Nei giorni scorsi ho pensato che col cuore ero molto vicino a Tsipras e ai greci, ma che col cervello mi chiedevo se quell’azzardo da parte del leader di Syriza fosse proprio l’unica scelta possibile. Non mi piace una politica che si spinge fino al tutto per tutto, con il corteo di retorica che in genere si porta dietro (gli eroi coraggiosi da una parte, i terroristi e golpisti dall’altra, in un crescendo di metafore belliche…).
Ma è pur vero che ogni tanto, in politica come nella vita, si presentano dilemmi dai quali è impossibile uscire grazie a una mediazione, a un compromesso. O perlomeno, così ci sembra.
Forse Tsipras si è trovato senza vie di uscita: l’accordo che avrebbe potuto firmare a Bruxelles con ogni probabilità non sarebbe stato accettato da gran parte della sua compagine di partito e di governo. Rischiava di perdere comunque nel peggiore dei modi.
Con il referendum avrebbe potuto perdere dignitosamente, e passare la mano, oppure ricevere un nuovo mandato, nuova forza dagli elettori. Così è stato, e le dimissioni di Varoufakis sembrano significare che questa nuova forza Tsipras intende metterla sul piatto della trattativa con i falchi di Bruxelles, ma anche su quello dei rapporti con i settori più estremisti e irrequieti della sua maggioranza. E questo anche al di là delle posizioni di merito sostenute dall’estroso e fascinoso ex ministro delle finanze (da leggere due suoi brevi e brillanti testi: Confessioni di un marxista irregolare e Una modesta proposta per risolvere la crisi dell’euro, edizioni Asterios).
Le dichiarazioni del premier greco dopo la vittoria del no mi sembrano ineccepibili sulla strada di capitalizzare al massimo il voto dei greci per restare in Europa e nell’euro, ma spingendo a un nuovo paradigma, favorendo l’irruzione di una nuova politica nel mondo sempre più traballante dei parametri di Maastricht. In questi giorni di rievocazioni classiche da ex liceali è stata ricordata la frase di Orazio: Graecia capta ferum victorem cepit, et artes intulit aegresti Latio… Oggi da Atene vincerà la lezione di una politica democratica più forte delle regole finanziarie e burocratiche?
La risposta riguarda Angela Merkel, Hollande, Renzi, e tutti gli altri che si dicono europeisti.
Riguarda anche quanti erano ieri a Atene nel nome di una nuova sinistra italiana. Mi auguro che il successo di questo referendum non favorisca scorciatoie organizzativistiche e una pratica politica orientata a cercare udienza popolare soprattutto esaltando il ricorso ai referendum.
I referendum che più hanno contato e inciso nella storia italiana – secondo me quelli sul divorzio e sull’aborto, dopo quello sulla Repubblica – ebbero una dinamica che spesso viene rimossa. Furono promossi da chi intendeva cancellare leggi assai avanzate per quegli anni (’74 e ’81), ottenute grazie a una mediazione parlamentare (tra Pci, partiti laici e anche la Dc). Vinsero a furor di popolo i «No» che volevano difendere quelle buone leggi. Quei compromessi positivi furono raggiunti perché era maturata una nuova mentalità, una nuova cultura diffusa nel paese, soprattutto per il cambiamento della soggettività femminile. Ecco come vorrei che sapesse ripartire, nelle condizioni del presente, una nuova politica e una nuova sinistra.
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