Conte si prepara a una settimana che sarà, se ancora non decisiva, di certo fondamentale. Il vertice del Consiglio europeo di venerdì e sabato, salvo miracoli, non raggiungerà l’accordo finale sul Recovery Fund. Ci sarà bisogno di un ulteriore vertice straordinario, a fine luglio o in agosto.

Ma l’appuntamento resta decisivo: si capirà se la situazione è sbloccata e si tratta solo di mettere a punto i particolari o se la trattativa è ancora in alto mare e i tempi, particolare essenziale, sono destinati ad allungarsi.
Il premier italiano ha in agenda due incontri cruciali, quello di lunedì con Angela Merkel e poi l’incontro con Emmanuel Macron, e una scadenza che si augura sia invece quanto più possibile sotto tono: l’obbligatorio passaggio parlamentare nel quale sarà votata la Risoluzione del governo, necessaria prima del vertice. Con la Cancelliera e con il presidente Conte affronterà i tre nodi ancora da sciogliere: la quantità dei fondi a disposizione e la suddivisione fra sussidi e prestiti, i tempi degli stanziamenti e le condizioni che, propaganda a parte, il governo italiano sa bene essere inevitabili. Sul primo punto, nonostante Angela Merkel di fronte all’Europarlamento abbia difeso la proposta iniziale franco-tedesca di un fondo pari a 500 mld, il governo italiano è molto ottimista, convinto che alla fine i mld in campo saranno 750.

La proposta del presidente del Consiglio europeo Michel di venerdì è stata accolta con vivo sollievo da Conte e Gualtieri: 500 mld sotto forma di sussidi, altri 250 come prestito. Resta in sospeso, è vero, il nodo del bilancio europeo per gli anni 2021-2027 nel quale figurano i rebates, cioè gli sconti per alcuni Paesi tra i quali proprio l’Olanda. L’Italia è contraria, ma soprattutto perché mira a mettere la conferma dei rebates, come quella dei fondi di coesione che avvantaggiano i Paesi dell’Est, sul piatto della bilancia come contropartita per lo sblocco del Recovery Fund.

Sul fronte delle condizioni l’ottimismo è molto più temperato. Lo scoglio principale è quello. L’incontro all’Aja di venerdì sera, con tanto di passeggiata al centro e cena, tra Conte e il premier olandese Rutte è andato piuttosto male. Tanto che lo stesso premier italiano, pur elogiando il «clima ottimo», ha dovuto ammettere che «non c’è piena convergenza».

Ci sono anzi «divergenze» però «non insuperabili». Le divergenze riguardano appunto le condizioni. L’Olanda e i Paesi del Nord vogliono che gli stanziamenti siano vincolati a riforme precise, tempi di attuazione ben definiti, controlli rigidi. L’olandese non avrebbe esitato a mettere sul tavolo l’abolizione di Quota 100.

Da questo punto di vista la mediazione di Michel non agevola i Paesi del Sud. Se sulle dimensioni del Fondo il presidente del Consiglio europeo si è schierato con i Paesi mediterranei, sui controlli ha invece fatto un passo verso quelli del Nord, proponendo che i controlli spettino non alla Commissione ma al Consiglio stesso, cioè ai capi di Stato e di governo, a maggioranza qualificata e con una sorta di potere di veto. Il risultato finale potrebbe somigliare a quelle condizioni severe un tempo poste dalla troika. Conte ha subito messo le mani avanti sottolineando il rischio che troppe condizioni e troppi «passaggi burocratici» possano «rallentare la ripresa». Le condizioni capestro invocate da Rutte non passeranno ma la partita è tutta aperta e per l’Italia il rischio principale è quello.

L’ostacolo delle condizioni riverbera immediatamente sui tempi. Rutte, da quel punto di vista, si è trovato d’accordo con l’italiano e con Angela Merkel sulla necessità di fare presto, cioè di chiudere entro l’estate. Ma con un Parlamento olandese ostile, tanto che il leader sovranista Wilders, amico di Salvini, ha sfoggiato un cartello ben poco simpatico, «Non un cent all’Italia», il rischio che la trattativa sulle condizioni si impantani sussiste.

Il nodo del passaggio parlamentare, con la spina Mes, verrà affrontato dal governo con una risoluzione che più o meno esplicitamente formalizzerà la decisione di rinviare la scelta a ottobre. Non dovrebbero esserci grossi problemi ma nella situazione in cui si trova il Senato non si può mai dire.