Dal plauso per l’isolamento del Qatar alla vendita di trentasei F15: gli Stati uniti di Trump brillano per imprevedibilità. O per realpolitik: ieri il capo del Pentagono Jim ’Cane pazzo’ Mattis ha firmato con il ministro degli Esteri di Doha al Attiyah un accordo di vendita di 36 caccia dal valore totale di 12 miliardi di dollari.

Nelle stesse ore, due navi da guerra Usa raggiungevano il porto di Hamad per iniziare un’esercitazione congiunta con la Marina qatariota.

E dire che il 6 giugno, il giorno dopo la rottura dei rapporti diplomatici con Doha da parte di Arabia saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi e Yemen, Trump twittava le sue felicitazioni: «Durante il mio viaggio in Medio Oriente ho detto che non c’era più spazio per il finanziamento dell’ideologia radicale. I leader hanno indicato il Qatar. Bello vedere che la visita in Arabia Saudita con il re e 50 paesi dà già dei frutti».

Un tweet dal sapore di rivendicazione che si scontrava però con le posizioni del Pentagono e del segretario di Stato Tillerson, contrari ad una rottura con il Qatar, foriera di danni all’economia statunitense e alle attività militari nell’area.

La più grande flotta Usa in Medio Oriente (11mila uomini e oltre 100 jet da guerra) è di stanza in Qatar, nella base di al-Udeid. Da qui partono molte delle operazioni aeree contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq.

Ieri la svolta: esercitazioni congiunte e la vendita di armi a un paese che il 6 giugno era definito sponsor del terrorismo «ai più alti livelli» (come lo sono gli altri alleati Usa, sauditi in testa). L’intesa, si legge nella nota del Pentagono, «incrementerà la cooperazione alla sicurezza e l’interoperabilità tra Stati Uniti e Qatar».

I 36 caccia fanno parte di un pacchetto di settantadue jet F15 (21 miliardi di dollari in totale) approvato nel 2016 dal Congresso Usa. La firma di ieri, dunque, dà il via libera alla consegna della metà delle forniture previste.