L’urlo delle sirene di allarme ha colto tutti di sorpresa alla Porta di Damasco. Da qualche minuto decine di giovani palestinesi celebravano una piccola ma importante vittoria. L’aver costretto, con le proteste di questi giorni, gli apparati di sicurezza israeliani e il governo Netanyahu a cambiare il percorso all’annuale Marcia delle Bandiere nella città vecchia, con cui i nazionalisti religiosi affermano il controllo di Israele su tutta Gerusalemme, incuranti delle risoluzioni internazionali. E i poliziotti israeliani, sempre pronti a far capire chi comanda, per diversi minuti hanno lasciato fare quei ragazzi, non pochi dei quali nelle sere passate sono stati portati in manette alla stazione di polizia di Moskobiyeh. «Così come li abbiamo sconfitti alla Porta di Damasco, sapremo sconfiggere i coloni a Sheikh Jarrah» ci diceva Yusef, palestinese cattolico amico fin da bambino della musulmana Mona al Kurd, portavoce delle 28 famiglie che rischiano di ritrovarsi in strada se, tra un mese, la Corte suprema israeliana darà ragione ai coloni in una vicenda diventata un caso internazionale e che rappresentare uno degli aspetti centrali del conflitto israelo-palestinese. «Tra un po’ vado a Sheikh Jarrah per partecipare al presidio notturno a difesa delle case in pericolo» diceva ancora Yusef. Alle 18, le 17 in Italia, quando nessuno più pensava all’ultimatum lanciato da Hamas a Israele – ritirare entro quell’ora i poliziotti dalla Spianata di Al Aqsa o pagarne le conseguenze – sono partite le sirene. Ed è cambiato lo scenario, almeno parte di esso.

Confermando quanto avevano minacciato, in nome della difesa della moschea di Al Aqsa, Hamas e Jihad hanno lanciato sette razzi in direzione di Gerusalemme e altri 30 verso il sud di Israele. «Si è trattato di una risposta – ha rivendicato Hamas – all’aggressione e ai crimini contro la città santa e alle prevaricazioni contro il nostro popolo nel quartiere di Sheikh Jarrah e nella moschea al-Aqsa».  I razzi non hanno causato danni alle persone ma in pochi attimi migliaia di israeliani si sono ritrovati nei rifugi e la vita nel sud del paese ha rallentato per alcune ore. A Gerusalemme gli abitanti, ebrei e palestinesi, hanno risentito le sirene di allarme come non accadeva dal 2014, durante l’offensiva israeliana Margine Protettivo contro Gaza. A Gerusalemme sono state avvertite le esplosioni dei razzi ma i danni sembravano ieri sera di lieve entità. Inoltre un razzo anticarro ha colpito un veicolo israeliano che transitava vicino a Gaza.

Non è stata invece di lieve entità la reazione di Israele contro Gaza. Un bombardamento aereo scattato in pochi minuti ha trasformato in un inferno il villaggio di Jabaliya e la cittadina di Beit Hanoun, nel nord della Striscia. È stato un bagno di sangue: 20 i morti, tra i quali nove minori, e 65 feriti. Un bilancio così alto di vittime a Gaza in una sola giornata non si registrava da anni. Le immagini girate nei social subito dopo l’attacco hanno mostrato la disperazione dei sopravvissuti che, nella polvere alzata per metri dalle esplosioni, portavano soccorso ai feriti e si affannavano a cercare superstiti tra le macerie degli edifici colpiti. Scene di dolore hanno attraversato la rete. «Avvertiamo il nemico sionista che se colpisce installazioni civili o case che appartengono al nostro popolo a Gaza, la nostra risposta sarà forte e dolorosa e oltre le aspettative del nemico», ha avvertito un portavoce delle brigate Izz al-Din al-Qassam, braccio armato di Hamas. Il Jihad alle 21, come aveva annunciato, ha sparato altri razzi e ieri sera si prevedeva che altri ne sarebbero stati lanciati da Gaza nel corso della notte.

Israele non ha riconosciuto i venti morti nei suoi bombardamenti. Anzi, sostiene che tre dei bambini morti non siano stati uccisi dalle sue bombe bensì da un razzo palestinese caduto sulla loro casa. E aggiunge di aver colpito e ucciso otto uomini di Hamas. «Se non l’ha capito fino ad ora, Hamas adesso lo capirà» ha detto un portavoce delle forze armate. «Siamo preparati – ha aggiunto – e se dopo la nostra risposta la sparatoria continuerà addebiteremo ad Hamas un prezzo molto». Intorno a Gaza c’è già uno schieramento di forze pronto per un’offensiva ad ampio raggio. E le parole del premier Netanyahu sono inequivocabili. «Hamas ha varcato una linea rossa» lanciando razzi su Gerusalemme e «pagherà un duro prezzo», ha detto. «Israele colpirà con grande potenza – ha proseguito il premier – non tolleriamo attacchi al nostro territorio, alla nostra capitale, ai nostri cittadini e ai nostri soldati. Chi ci attacca pagherà un duro prezzo».

Non pochi palestinesi ieri celebravano per la prova di forza offerta da Hamas. Dovrebbero però valutare anche l’impatto dell’escalation militare sui risultati della mobilitazione popolare avvenuta in quest’ultimo mese, intorno a Sheikh Jarrah e alla Spianata di al Aqsa. Razzi e bombe, i corpi straziati dei bambini uccisi a Gaza, le scene di sofferenza, inevitabilmente hanno oscurato i 278 palestinesi feriti ieri all’alba dalla polizia israeliana sulla Spianata di Al Aqsa. Alcuni ieri sera erano ancora in ospedale. E il timido appoggio offerto da alcuni paesi occidentali, Usa e Ue in testa, alla difesa delle ragioni delle famiglie di Sheikh Jarrah che rischiano di essere buttate in strada, è già svanito. La provocatoria Marcia delle Bandiere è ormai una storia di poco conto per i media occidentali. Invece il tema di Gerusalemme e del suo status è sempre lì, lontano dalla legalità internazionale e pronto a riesplodere.