Per quelli della mia generazione la morte di Valentino Parlato è in qualche modo il simbolo della fine di un’epoca. Si spegne una delle ultime voci e testimonianze del pensiero critico di sinistra, che precede cronologicamente la palude del pensiero unico e che, nel tempo, ha continuato a fare resistenza.

Insieme al gruppo del Manifesto, ci ha insegnato ai tempi dell’espulsione dal partito che esisteva un modo diverso di vivere e pensare a sinistra, che si scontrava con l’ortodossia del partito. La sua lezione resta fondamentale in un periodo in cui la parola dissenso è vista con sospetto. Abbiamo vissuto allora, collettivamente, la grande illusione di un cambiamento possibile.

In quel contesto Valentino ci ha insegnato il rispetto della differenza e, soprattutto, la complessità di essere di sinistra. In uno dei nostri ultimi incontri mi ha confessato il suo disagio nell’essere costretto a votare Raggi alle comunali di Roma. È il disagio di una generazione che, per esprimere un voto contro il sistema, non trova nemmeno un partito in cui identificarsi ed è costretto, di volta in volta, a fare scelte che non condivide sino in fondo.

Negli ultimi anni esprimeva il suo disagio con una sorta di depressione esistenziale che coinvolge tutti quelli che hanno visto nascere e morire l’utopia di un mondo migliore. Magri si è suicidato, Valentino ha continuato a impegnarsi in prima persona, ma niente era più come prima, sia per lui che per tutti quelli che hanno condiviso un sogno che si è trasformato poi in un incubo.