Il sapere, è noto, non è fatto per comprendere ma per prendere posizione. Un’affermazione che sembra tanto più vera quando ci si ritrova tra le mani Blitzkrieg Tweet. Come farsi esplodere in rete, l’ultimo libro di Francesco De Collibus (Agenzia X, pp. 136, euro 12): dalla sua lettura, statene certi, trarrete spunti preziosi per decidere come schierare le vostre truppe sul campo di battaglia dell’informazione.

Una premessa è doverosa. L’autore (filosofo, informatico e animatore di spinoza.it) non ha dato alle stampe l’ennesimo manuale di guerriglia marketing. O almeno, non sembra essere stato mosso da quest’unico intento. Certo, il libro è denso di suggerimenti su come concepire le vostre bombe mediatiche, influenzare l’opinione pubblica e «incendiare» il terreno della comunicazione (possibilmente senza farvi terra bruciata intorno). Ma allo stesso tempo, sotto la superficie delle 130 gustose pagine pubblicate da Agenzia X scorre come un fiume carsico una stimolante riflessione sulla rete, le ambivalenze dei fenomeni sociali che l’attraversano e i pericoli che ne stanno mettendo a repentaglio la libertà.

L’obsolescenza dei media

Ma cosa hanno in comune Twitter e la guerra lampo? Molto, se si considera che la velocità negli scenari di conflitto è un fattore in grado di mutare profondamente i connotati dei fenomeni bellici e dei sistemi di comunicazione. Così come l’adozione della blitzkrieg da parte delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale aveva reso inefficace la mastodontica linea Maginot costruita dai francesi, allo stesso modo, sostiene De Collibus, la rete e i fenomeni ad essa connaturati (mentalità quantistica, disintermediazione, istantaneità e partecipazione del pubblico al processo informativo) hanno reso obsolescenti quelle fortezze comunicative broadcast (televisioni, quotidiani e radio) che il potere aveva posto fino ad oggi in sua difesa.

Attenzione. Non siamo di fronte all’ultimo di una lunga lista di intellettuali folgorati sulla via del tecno entusiasmo internettiano. L’approccio dell’autore è olistico – tecnologia e sociologia in rete «procedono di pari passo» – e rifugge quella sciocca lettura neopositivista di Internet, destinata inevitabilmente a sfociare nell’apologia liberale delle twitter revolutions o nell’annuncio della distopia orwelliana.

De Collibus non conosce il futuro. Non è venuto a dirci come andrà a finire. Sa solo che è già cominciato e che non saranno né macchine, né algoritmi a scriverlo per noi. L’accelerazione prodotta dalla rete e dai social media infatti racchiude in sé tanto la possibilità di aprirci nuovi orizzonti inesplorati quanto quella di confinarci in asfissianti recinti d’informazione. Il passo tra swarm intelligence e clicktivism (l’attivismo pigro fatto a colpi di like dalla poltrona di casa) è breve, ma sta solo a noi trovare il modo di non scivolare nel secondo. Per farlo è però necessario comprendere quali forze agitano la rete («un costrutto semiumano, nato dall’interazione tra l’uomo e la tecnologia») e come l’esperienza mediale digitale permea e modifica le nostre capacità cognitive e sensoriali.

Il libro è diviso in due capitoli. Il primo si occupa di tattica, ovvero di quei principi da attuare quando la guerra è già cominciata. Quali sono le regole per influenzare la spirale delle decisioni collettive e far sentire la propria voce sui social media? Dall’osservazione empirica di diversi campi di battaglia – come la guerra di propaganda scoppiata in rete tra Israele e Hamas nel novembre 2012 o la disfatta di Letizia Moratti alle ultime amministrative milanesi – De Collibus ne deduce principalmente due. La prima prende le mosse da una constatazione elementare ma essenziale: quella per cui il rumore di fondo della rete, l’incessante scorrere di notizie, immagini, video, tweet e aggiornamenti di stato, sta progressivamente riducendo la soglia di attenzione degli utenti. È pertanto necessario cogliere con prontezza le occasioni che ci si parano di fronte per far esplodere tempeste d’informazione sulle teste dei nostri avversari. Ma per riuscirci (ecco la seconda regola) dobbiamo rivolgerci al pubblico giusto. Questo perché nel web 2.0 ogni messaggio non viene più definito solo dal suo significato ma anche e sopratutto dal processo di significazione collettiva alla base della sua trasmissione. Nessun contenuto può cioè esistere in rete se non viene mediato e moltiplicato da un processo distribuito di cooperazione sociale e di condivisione dell’informazione. Per attivarlo bisogna saper interagire coi diversi attori che costellano l’ecosistema di rete (tra cui influencers e media tradizionali), fare comunità e trasformarsi in hub, ovvero punti di raccordo tra mondi ed isole nella rete.

La trappola del «recentismo»

Attenersi ai principi enunciati da De Collibus permette di vincere le battaglie. Non ottemperarvi significa condannarsi all’irrilevanza, che in rete è sinonimo di rovina. Ma non illudetevi: ideare hashtag, ricorrere alla memetica, organizzare petizioni o creare eventi su Facebook non vi garantirà il successo finale. Prima di scendere sul piede di guerra, anche nel web, è necessario predisporre un’adeguata pianificazione, tema che copre la seconda parte del libro dedicata alla strategia.

Come muoversi nel caos che è condizione naturale della vita on-line? Qual è il modo migliore per veicolare un messaggio, quando la struttura stessa della conoscenza è oggetto di un profondo processo di trasformazione sotto la spinta dell’overloading informativo e della logica del cloud computing? In che modo tenere alto il livello del dibattito in rete senza cadere nella trappola del recentismo, cioè nell’eterno presente privo di prospettive storiche che caratterizza i social media? Come non rinchiudersi nelle cerchie viziose dell’omofilia (l’inclinazione a parlare solo con chi ci somiglia) che trasformano il mare magnum della rete in un acquario stagnante? Quali sono gli archetipi narrativi più efficaci per coinvolgere il pubblico? Questi ed altri argomenti sono affrontati dall’autore, con l’intento di elaborare una metodologia idonea per far esplodere la rete coi propri messaggi.

I padroni del silicio

A dispetto della vena ironica che scandisce piacevolmente il ritmo della lettura, il libro esplora questioni piuttosto serie ed attuali. Tra i suoi pregi principali c’è quello di ricordare che nel web non siamo semplici utenti ma veri e propri nodi della rete, in grado di dirottare i flussi d’informazione e senso che l’attraversano. L’autore ha poi la capacità di mettere a fuoco in modo brillante gli elementi da cui sono scaturite esperienze vincenti di comunicazione politica in rete – Wikileaks e Anonymous, per esempio – la cui forma d’organizzazione, aperta e molecolare, è stata in grado di connettere porzioni di società molto differenti tra loro.

Chiuso il libro sorge però una considerazione. Se in linea teorica è vero che siamo attrezzati per sfondare la linea Maginot del tiranno (ovvero i media broadcast generalisti) è altrettanto vero che lo scontro con i nuovi padroni (le internet companies della Silicon Valley) ci vede al momento quasi del tutto sguarniti. Google e le altre major della Rete infatti si candidano appieno al ruolo di novelli broadcaster in quanto oligopolisti del mercato dell’information and communication technology, supernodi di internet ed interfacce costitutive della comunicazione sociale. Fatti che, più che alludere a processi di liberazione o empowerment dell’individuo, indicano semmai un’enorme concentrazione di potere (come testimonaia l’affaire Prism) nella mani di pochi soggetti privati che hanno cristallizzato nel mercato globale alcune funzioni politiche un tempo monopolizzate dallo stato-nazione.
È il sigillo finale sulla storia di internet? Assolutamente no, perché questa, proprio come il libro di De Collibus, non ha ancora una conclusione. Niente è per sempre e dietro l’angolo ci aspettano incredibili futuri non lineari. Siamo noi ad essere la vera ricchezza della rete. E una rete libera sarà sempre possibile fino a quando saremo disposti a lottare per essa. Come direbbe Aaron Swartz: vuoi essere dei nostri?