Carles Puigdemont è stato il presidente della Generalitat nell’autunno catalano. Dopo la dichiarazione d’indipendenza del 27 ottobre 2017, destituito dal governo spagnolo, decise di lasciare la Catalogna rifugiandosi a Bruxelles. Nei suoi confronti c’è un mandato di estradizione della giustizia spagnola per il reato di sedizione.

A febbraio ci saranno elezioni catalane, cosa rappresentano?

La legislatura è stata alterata dalla destituzione del presidente della Generalitat Torra. Se l’epidemia consentirà le elezioni, sarà ancora una campagna elettorale anomala con prigionieri politici ed esiliati.

Non è un problema che l’indipendentismo sia guidato dall’esilio e dal carcere?

Non si possono guidare movimenti politici solo dalla prigione e dall’esilio, ma anche dalla prigione e dall’esilio. Mantenere attiva questa leadership è una risposta alla repressione spagnola.

Il trumpismo è un nazionalismo di estrema destra. Che nazionalismo è quello catalano?

È un’idea di nazione civica, un’identità di contenuti sociali e culturali, di integrazione. Nella società catalana, con gran parte della popolazione venuta da fuori, non esiste il catalano da un punto di vista etnico. L’indipendentismo è un movimento politico con radici civiche, è anacronistico definirlo come nazionalismo.

È iniziata la procedura europea per l’autorizzazione a procedere contro di lei.

È un caso di persecuzione politica. Si vulnerano i diritti fondamentali perché a chiedere l’estradizione non è il giudice competente. Il tribunale tedesco che mi ha giudicato ha negato la mia estradizione per assenza del reato di sedizione o ribellione e quella sentenza è definitiva. Inoltre, il presidente della Commissione legale europea è un deputato di Ciudadanos, partito che si è opposto alla mia elezione. E il relatore un deputato dell’estrema destra bulgara che condivide il gruppo con Vox, accusa popolare contro gli indipendentisti.

Cosa non rifarebbe dell’autunno catalano?

Non sospenderei la dichiarazione d’indipendenza il 10 ottobre in parlamento. Proclamerei l’indipendenza difendendola davanti alla comunità internazionale. Fu un errore, ma ho sempre privilegiato il negoziato e ci furono contatti col governo che deponevano per il dialogo. Optai per non fare nulla d’irreversibile. Eppoi, per responsabilità, dovevo prevenire qualunque conflitto di tipo civile.

Perché allora il 27 ottobre andaste avanti?

Quello del 27 ottobre era un passaggio necessario: doveva esserci una dichiarazione d’indipendenza del parlamento catalano. Se vi avessimo rinunciato, con elezioni senza contropartita, sarebbe tutto finito.

Trapero è tornato alla guida dei Mossos, la polizia catalana.

Lo nominai capo dei Mossos perché volevo che il capo della polizia fosse un buon poliziotto. E Trapero è un buon poliziotto, come dimostrò nell’attentato di Barcellona del 2017. E col suo approccio di polizia moderna europea democratica e di mediazione. Sono contento che sia stato restituito.

Anche se aveva un piano per arrestarla?
Trapero non è un politico e la polizia non dev’essere una polizia politica. Gli dissi che non gli avrei mai ordinato di contravvenire alla legge. Se i Mossos avessero voluto avrebbero potuto arrestarmi. Ma non mi arrestarono, me ne andai dalla Catalogna da libero cittadino.

Trapero ha detto che si sarebbe potuto gestire meglio.

Non credo però abbia dubbi sulla sentenza che l’assolve: quello che fecero i Mossos andava fatto, ma non quello che fece la polizia spagnola, contrario all’ordine d’impedire il referendum preservando la convivenza civile.

L’indipendentismo è diviso, lei parla di conflitto intelligente.

Il movimento deve tornare unito, perché uniti realizziamo cose come l’1 ottobre. Saremmo ingenui se pensassimo che lo Stato sia disponibile a parlare di un referendum di autodeterminazione. Se lo Stato non vuole dialogare e noi vogliamo agire dalla nonviolenza e dai diritti fondamentali ci sono vari modi. L’1 ottobre è stato un conflitto intelligente che abbiamo vinto e solo un referendum concordato con lo Stato può sostituirlo. Ma se l’indipendentismo superasse il 50% dei voti popolari, la politica catalana e del governo spagnolo cambierebbero. E noi possiamo basarci solo sulla resistenza nonviolenta e la mobilitazione dei cittadini.

Si parla di indulti e riforma del delitto di sedizione, che ne pensa?

Il reato di sedizione non è proprio del secolo XXI e andrebbe eliminato. Non vorrei però che si considerassero sedizione cose che oggi sono libertà d’espressione. Nel pacchetto di soluzioni c’è l’amnistia; gli indulti sono soluzioni personali. Non può esserci dialogo se non si ferma la repressione, ma la soluzione è che la Catalogna possa decidere il suo futuro.

Come spiegherebbe l’indipendentismo ai lettori del manifesto, un giornale di sinistra che ha avanzato dubbi sull’indipenza come obbiettivo?

Una Catalogna indipendente è un progetto di giustizia sociale e di diritti umani, non di bandiere ma di radicalità democratica, impossibile da realizzare nello Stato spagnolo che non ha fatto pulizia del franchismo, in mano a oligarchie con a capo un sistema monarchico corrotto. Ci sono ragioni storiche e contemporanee che avallano una Catalogna indipendente in una visione progressista. A chi associ l’indipendentismo catalano all’estrema destra chiedo che capisca che quello catalano è un caso esemplare di costruzione di una repubblica di diritti sociali.