Non era mai accaduto che un presidente del governo in carica si sedesse davanti a un tribunale. Mariano Rajoy è stato costretto a farlo, da testimone, per uno dei principali processi per corruzione che coinvolgono il suo partito, il Pp.

FORTE DELLA MASSIMA «fare buon viso a cattivo gioco», il capo dell’esecutivo si è detto contento di poter aiutare la giustizia e ha specificato di testimoniare «come un cittadino qualunque», pur non essendolo: è il capo di un governo debolissimo, al centro di decine di casi di corruzione. L’ex tesoriere del partito, Luís Bárcenas, quando era stato arrestato aveva divulgato tutti i registri della Cassa B del partito, in nero, in cui fra le molte operazioni illecite, si parlava anche di denaro nero distribuito dal tesoriere ai principali dirigenti (fra cui lo stesso Rajoy).

LE VELATE MINACCE e i ricatti di Bárcenas, cui Rajoy aveva mandato due sms («Luís, ti capisco, sii forte», e «facciamo tutto quello possiamo»), devono però aver sortito effetto perché ieri è andato in scena un copione preannunciato, in cui Rajoy ha evitato in tutti i modi di scaricare responsabilità sull’ex tesoriere. E anzi è arrivato a incolpare il predecessore di Bárcenas, ormai affetto da demenza senile, e la sua acerrima nemica, ex capa del Pp di Madrid Esperanza Aguirre, lei stessa allontanata per l’esplosione di altri casi di corruzione nella comunità madrileña.

Il complesso processo in cui Rajoy è stato costretto a presentarsi è il cosiddetto «caso Gürtel», cintura in tedesco, giacché il principale protagonista della trama di corruttele fra Valencia e Madrid era l’impresario Francisco Correa, dove correa in spagnolo vale «cintura». Il partito popolare nazionale, secondo l’accusa, avrebbe ottenuto 250mila euro di tangenti per operazioni urbanistiche in due comuni della provincia di Madrid durante la campagna elettorale del 2003 (allora Rajoy era vice di Aznar).

MA L’ENORME INCHIESTA ha messo in luce finanziamento irregolare anche in molte sedi regionali. Il sistema era così oliato che persino i lavori di ristrutturazione della sede popolare a Madrid vennero pagati in nero. Questo processo copre i primi anni (1999-2005) di attività della rete.

L’interrogatorio di Rajoy è avvenuto con modalità diverse da quelle degli altri testimoni: seduto accanto alla corte e non di fronte; entrata da un garage e non davanti alle telecamere; presenza del procuratore anti corruzione.

Per non parlare del fatto che l’avvocato di Bárcenas si è opposto a che venissero rivolte a Rajoy tutte le domande più spinose, e il presidente del tribunale ha fatto il resto. La tesi del capo del governo è che lui è un politico e «quindi» non si occupa di questioni economiche. Che i vicesegretari non avevano nessuna funzione sotto Aznar. Che lui manco lo conosceva questo Correa. Che gli sms «non avevano nessun significato». Che non sapeva che Bárcenas aveva conti in Svizzera con milioni di euro. Che i suoi biglietti per andare in vacanza alle Canarie glieli pagava il partito, non Correa. E che, naturalmente, non ha incassato nessuna busta con denaro, perché «sarebbe illegale», ha detto. E che quanto riportato nei libri contabili di Bárcenas è tutto falso (a parte alcuni dettagli, ha spiegato). Il tutto con un tono piuttosto sprezzante.

LE REAZIONI POLITICHE non si sono fatte attendere. Se Pedro Sánchez, Psoe, chiede a Rajoy di dimettersi, Podemos chiede al Psoe di costringerlo a presentarsi alla Camera a dare spiegazioni. Ciutadanos, che appoggia il governo popolare, si limita a osservare che non è «credibile« che Rajoy non conoscesse il budget per le elezioni del 2000, come ha sostenuto il presidente del governo. Il leader di Izquierda Unida Alberto Garzón in un tweet ha scritto che «è difficile capire come siamo arrivati al punto che il presidente del governo dichiara come testimone in un caso di corruzione e non succede niente».