«Come mi sento? Benino, non bene», ammette Gianni Bifolco, dopo la fine dell’udienza per il processo a carico del carabiniere che la notte tra il 4 e il 5 settembre 2014 tolse la vita a suo figlio Davide, raggiunto da un proiettile esploso dopo che il ragazzo – a bordo di un motorino con altri suoi due amici – non si era fermato all’alt di una gazzella dei carabinieri.
Ieri mattina presso il tribunale di Napoli in Piazzale Cenni è stato ascoltato il consulente balistico nominato dal pm Manuela Persico (titolare delle indagini con il procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso); lo stesso pm che al termine della requisitoria aveva avanzato una richiesta di condanna di omicidio colposo a 3 anni e 4 mesi di reclusione con il riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti. Un’accusa, quello di omicidio colposo, che fece a dir poco discutere: non sarebbero infatti stati più di cinque gli anni che l’accusa avrebbe potuto ottenere per questa fattispecie, senza la diminuzione di un terzo della pena imposta dalla legge in caso di rito abbreviato.

Il passaggio di ieri, però, è senza dubbio importante. Dopo che lo scorso ottobre il giudice Ludovica Mancini aveva accolto l’istanza avanzata dall’avvocato della famiglia Bifolco, Fabio Anselmo, per un supplemento istruttorio, ieri il gup ha rinviato il processo al prossimo 16 marzo, giorno in cui scioglierà la riserva sulla richiesta presentata dalla difesa del carabiniere imputato relativa a un’altra perizia tecnica. «L’importante è che esca verità: ho dubbi sulla parola giustizia. L’altro mio figlio è stato condannato a quasi 5 anni per furto, mentre per l’omicidio di Davide si parla di poco più di 3 anni. Com’è possibile?», racconta Bifolco al manifesto. «Sono stufo di abusi e repressione di Stato, questa è la verità. Altro che malavita e microcriminalità: nessuno dice che la gente è costretta alla fame e alla guerra tra poveri per colpa di uno Stato che, a modo suo, ci fa morire tutti i giorni. Sono felice che mio figlio sia morto una volta sola, perché nelle condizioni in cui vivo io, e migliaia di persone come me, si muore ogni giorno, in forme altrettanto criminali, per mano di chi governa».

A Napoli, intanto, il processo non è una questione familiare. A supportare il dolore e la rabbia della famiglia di Davide ci sono, «dal giorno dopo l’omicidio fino a oggi, e anche domani», ragazzi del quartiere, movimenti e singoli cittadini che hanno creato la rete Verità e giustizia per Davide Bifolco. Ieri, partiti in corteo da Rione Traiano, hanno manifestato fuori il tribunale durante l’udienza, con cori, striscioni, torce e fumogeni.