Domani il movimento di genitori e insegnanti «Priorità alla Scuola» tornerà a mobilitarsi davanti alle sedi di dieci regioni: Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Lombardia, Lazio, Umbria, Veneto, Marche, Puglia, Sicilia. Dopo le mobilitazioni del 23 maggio e il 25 giugno in 60 città chiederà ai governi regionali, a partire dal presidente della Conferenza Regioni e governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, le ragioni per cui hanno accettato con modifiche minime le linee guida del Ministero dell’Istruzione per la riapertura della scuola a settembre. Il testo rende difficile garantire il rientro senza riduzione di orario, senza turni e senza didattica a distanza. A Bologna il movimento ha chiesto un confronto a Bonaccini sul finanziamento aggiuntivo di un miliardo di euro inferiore a quanto le stesse regioni ritenevano necessario per trovare nuovi spazi e assumere stabilmente altro personale.

»Senza spazi e organico è molto difficile garantire una seria apertura delle scuole – sostiene Costanza Margiotta di Priorità alla scuola a Firenze – Chiediamo una cooperazione tra le regioni, gli uffici scolastici regionali e gli enti locali. Purtroppo stanno girando in questi giorni circolari in cui i dirigenti scolastici ipotizzano che faranno turni differenziati con la riduzione del tempo scuola e una didattica mista in presenza e online, quella che viene chiamata “didattica blended”. Invece la ministra dell’istruzione Azzolina ha assicurato che non accadrà. Siamo anche preoccupati dalle conseguenze che potrebbe avere sulla scuola la proroga dello stato di emergenza. Cosa accadrà?».

«Le regioni avevano alzato la voce poi di fatto hanno accettato i correttivi minimali da parte del governo – sostiene Girolamo Di Michele di Priorità alla scuola a Ferrara – Si sta diffondendo la sensazione di uno spostamento in avanti delle soluzioni concrete e si corre il rischio che alla fine qualcuno dirà che non c’è nulla da fare e adotteranno soluzioni di emergenza. Ed è preoccupante che ci siano fughe in avanti delle regioni come il Veneto che storicamente è stata all’avanguardia sul depotenziamento della didattica. C’è ancora molta incertezza sulla questione delle distanze tra gli studenti e sull’uso delle mascherine. Servirebbero 100-120 mila docenti in più per la didattica in presenza. Con 50 mila tra docenti e personale Ata precario in più non si fa nulla». Com’è stata presa la nomina a commissario della scuola di Domenico Arcuri?: «È la quinta figura dopo ministro viceministro e sottosegretari – – risponde Di Michele – Potrebbe configurare un impegno serio, ma anche una confusione nelle responsabilità: chi decide il Miur o il commissario?».

«È stata enfatizzata la mappatura dei nuovi spazi – afferma Maddalena Fragnito di Priorità alla scuola Milano – Bene. Ma noi chiediamo anche quella degli organici. Girano circolari in Lombardia in cui si dà per certo che non ci sarà nuovo personale e il tempo scuola sarà ridotto. Il governo sembra avere recepito l’adozione di protocolli sanitari. Ma non basta fare tamponi e test una sola volta. Le agenzie di tutela della salute dovrebbero inviare il personale nelle scuole e decidere come e cosa chiudere. Se mio figlio, un docente o il personale, si infettano chiude tutta la scuola o sta a casa solo la sua classe?».