Fabio Palotti aveva 39 anni e lavorava per una ditta esterna che cura periodicamente la manutenzione di un ascensore alla Farnesina, la sede del ministero degli Esteri a Roma. Mentre stava operando sulla cabina dell’ascensore gli ingranaggi si sarebbero messi in moto facendo cadere l’operaio che è morto sul colpo. Palotti era padre di una bambina. Il suo corpo è stato ritrovato ieri mattina alle otto. È stato inghiottito dalle tenebre del gigantesco palazzo nelle quali è rimasto per ore. Su questa tragedia innominabile la procura di Roma ha aperto un’indagine per omicidio colposo a carico di ignoti.

ECCO, OMICIDIO. Sono omicidi del lavoro. Accadono in questo modo, anche nelle sedi di governo, e proprio nella «giornata mondiale per la salute e per la sicurezza sul lavoro» che si è tenuta ieri. Un’iniziativa testimoniale che attesta più l’impotenza e la non volontà di intervenire radicalmente per arrestare questa guerra ai danni dei lavoratori o a stimolare la diserzione per evitare di essere vittime di questa strage dove parlano più i numeri delle statistiche che le storie dei corpi e delle loro relazioni. Quella che è accaduta ieri alla Farnesina è la normale, indifferente, manifestazione della violenza che governa il rapporto tra capitale e forza lavoro in Italia.

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TRA GENNAIO e marzo 2022 i morti del lavoro sono stati 189, quattro in più rispetto all’anno scorso. Quest’anno sono morte più donne: 24 contro 14 del 2021 (+71,43%). La media, fino ad oggi, è di oltre due morti al giorno. Crescono le morti «in itinere», cioè sulla strada per raggiungere il luogo di lavoro. Rispetto al primo trimestre del 2021, nel 2022 sul tragitto casa-lavoro le vittime sono passate da 31 a 51. L’aumento ha interessato in particolare il settore dell’industria e dei servizi (da 158 a 160 denunce) e quello dell’agricoltura (da 16 a 20 casi). Le denunce di infortunio sul lavoro sono aumentate addirittura del 50,85%: 194.106. Sono avvenute in particolare nei settori dei trasporti e magazzinaggio (+166,9%), nella sanità e assistenza sociale (+110,4%) e nell’amministrazione pubblica (+73,8%).

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SONO I DATI resi noti ieri dal bollettino trimestrale dell’Inail. Vanno interpretati per stabilire, ancora una volta su queste colonne, i seguenti elementi strutturali. Il primo: «L’obiettivo di diminuire gli incidenti, e di accrescere la sicurezza sul posto di lavoro – si legge nel primo «Quaderno del rapporto sui diritti globali» intitolato «Insicuri da morire – è dichiarato da tutti, ma gli strumenti per realizzarlo non sono garantiti, in un mercato del lavoro polverizzato e aleatorio, con i sistemi di controllo e prevenzione e le risorse necessarie dolosamente insufficienti. Questo è il risultato di un sistema che costringe un grande numero di persone a vivere in condizioni tossiche e a lavorare correndo rischi mortali».

IL SECONDO ELEMENTO: è diretto il collegamento tra la ripresa dell’attività economica dopo le quarantene disposte per contenere il contagio per Covid e l’aumento delle morti del lavoro. Da quando è iniziato il rimbalzo tecnico del Pil (+6%) dopo il crollo clamoroso del 2020 (-8,9%), spinto da bonus fiscali come il 110% nell’edilizia, il legame è evidente, ma rimosso a costo di centinaia di vite e migliaia di infortunati. Lo scandalo del cinismo quotidiano. «Non sempre tali rimbalzi statisticamente provocano conseguenze virtuosi; registriamo infatti una simmetria tra crescita produttiva ed infortuni» ha detto ieri a Vibo Valentia il consigliere di amministrazione Inail Cesare Damiano, ex ministro del lavoro.

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TERZO ELEMENTO: la strage ha inoltre una responsabilità politica ed economica. È questo che emerge dalle parole pronunciate ieri a Bari dal direttore generale dell’Inail Puglia Giuseppe Gigante: «I bonus fiscali in campo dell’edilizia hanno portato sicuri vantaggi in termini economici, ma anche improvvisazione a scapito della sicurezza – ha detto – Non c’è formazione, non c’è confronto con organizzazioni datoriali e sindacali che anzi vengono viste come un ostacolo alla ripresa. Non credo che questo sia il modo giusto di ripartire. I lavoratori sono da sempre chiamati a pagare il prezzo più alto. Ricordiamo che negli anni del boom economico, gli anni Sessanta, si verificavano una media di 4600 infortuni mortali annui, un contributo di sangue che era ritenuto necessario per la crescita e modernizzazione del Paese. Oggi questo principio non è tollerabile». Nel 2021 i morti del lavoro sono stati 1.221