Parole diverse, concetto identico. Il commissario europeo al Lavoro Moscovici, morbido per eccellenza, invita il governo italiano al «realismo», giusto un attimo prima di incontrare a Vienna, occasione la riunione Ecofin, il ministro Tria. Poche ore dopo il vicepresidente Dombrovskis, che invece fa il duro a tempo pieno, parla di «buon senso». Lui però si esprime dopo l’incontro, in conferenza stampa, e la sua non è un’esortazione ma un complimento rivolto a Tria.

Il ministro dell’Economia di Roma, dunque, ha detto ai commissari di Bruxelles quel che volevano sentirsi dire. «Mi ha assicurato che al momento il bilancio in preparazione prevede il miglioramento del saldo strutturale e la diminuzione del debito pubblico». Questo sì che è un impegno «responsabile». Infatti proprio la stessa prova di responsabilità aveva invocato prima del summit Moscovici: «Le regole sono fatte per tutti: assolutamente per tutti. L’Italia deve ridurre il suo deficit strutturale come tutti. Ha beneficiato di tutte le flessibilità possibili». Più che una dichiarazione, un monito e con toni, trattandosi di Moscovici, insolitamente arcigni. A vertice concluso il commissario al Lavoro torna sull’argomento via Twitter, con toni lievemente meno ottimisti del collega Dombrovskis: «Lavoriamo con Tria nella direzione di realizzare l’aggiustamento strutturale nel bilancio per il 2019 per rispettare gli impegni assunti con l’Europa».

Anche il diretto interessato, il ministro italiano, si affida a un cinguettio: «Clima cordiale, colloqui costruttivi. Linea condivisa: misure per crescita economica nel rispetto delle regole e miglioramento della finanza pubblica».

Un cielo azzurro, sgombro di nuvole. Solo che è difficile evitare il sospetto che Tria, preso tra due fuochi, strattonato dalla maggioranza politica a Roma, da una parte, e dai commissari europei a Bruxelles, da quella opposta, stia cercando un miracolo di equilibrismo forse impossibile. Non a caso l’ex ministro Padoan resta più che guardingo, palesemente non si fida delle rassicurazioni di Salvini e Di Maio e invita ad aspettare di vedere i conti reali, quelli messi nero su bianco, prima di emettere giudizi.

Sta di fatto che poche ore prima, a Roma, si respirava un’aria tutta diversa. Le indiscrezioni, dopo le riunioni dei giorni precedenti, parlavano di una manovra lievitata sino a 30 miliardi e forse anche di più. Il presidente leghista della commissione Bilancio della Camera, Borghi, lo dice a chiare lettere: «Per me la legge di bilancio si aggirerà sui 30 miliardi».

Ma la medesima voce rimbalzava da un palazzo del potere all’altro. Dieci miliardi per il reddito di cittadinanza, da far partire a maggio, reclamato da M5S, che ne ha bisogno come dell’ossigeno per smettere di apparire come la ruota di scorta del Carroccio. La Lega dovrebbe accontentarsi di un bottino meno ricco sulla Flat Tax, senza andare oltre l’aliquota del 15% per aziende e professionisti con partita Iva sino a 100mila euro di fatturazione. In compenso Salvini incasserebbe subito la revisione della legge Fornero con la nota «quota 100», obiettivo che, pur essendo condiviso da entrambi i partiti della maggioranza, si presenta soprattutto come risultato da accreditare al Carroccio.

Sommate alla sterilizzazione dell’aumento Iva, alle spese correnti e agli effetti della crescita meno brillante del previsto, e già non è che ci fosse da brindare, si arriva molto vicini al tetto del 3%. Quel confine non sarà varcato, questo ormai Salvini lo assicura anche in privato ma anche solo sfiorarlo significa rinunciare agli obiettivi sui quali, certo non a caso, insisteva ieri Moscovici: la riduzione strutturale del deficit e la diminuzione del debito.

Altrettanto difficile, del resto, dare troppo credito alla buona volontà europeista di un Salvini che proprio ieri ha incontrato Steve Bannon e Lischael Modrikamen, tra i fondatori del Movement anti-europeo al quale il leghista ha aderito con tanto di sorrisoni e strette di mano su Twitter. Tria, in questa situazione, non può fare altro che distribuire rassicurazioni a destra e a manca, evitando così almeno la tempesta dello spread, e fare il possibile per riuscire a quadrare il cerchio entro il 27 settembre.