L’economista Roberto Perotti, co-commissario alla spending review insieme a Yoram Gutgeld, avrebbe avuto l’intenzione di dimettersi dall’incarico conferitogli da Palazzo Chigi perché nella legge di stabilità mancano i tagli più sostanziosi prospettati dal lavoro degli mesi: tagli ai ministeri, alle partecipate, agli stipendi dei dirigenti dell’apparato centrale e locale. Retroscena insistenti, e non smentiti, confermano che il lavoro della «spending review» iniziato a settembre 2014, si è fermato nella palude della tradizionale incertezza di tutti i governi italiani dell’austerità.

Nelle ore precedenti alla presentazione della legge di stabilità, prevista per oggi, la cifra prospettata di 12 miliardi di euro in un anno (2016) non è stata raggiunta. Sul tavolo ci sarebbero «solo» sei miliardi di tagli. Almeno due dovrebbero arrivare dai contestatissimi tagli (da parte di Regioni, medici e associazioni) alla Sanità. Perotti avrebbe «minacciato» le dimissioni la settimana scorsa.

La situazione è fumosa dopo il «retroscena» pubblicato dal Corsera di ieri. Ma quella legge di stabilità definita «straordinaria» da Renzi solo 24 ore fa, sembra lasciare spazio ai soliti mal di pancia, imperfezioni che nelle prossime settimane – superato l’arcigno esame dei custodi dell’austerità a Bruxelles – potrebbero rovinare annunci e aspettative tra coloro che hanno salutato con favore oppure criticato gli auspici del premier. In questo quadro – tipicamente descritto come «assalto alla diligenza» o «paura o delirio» al Ministero dell’Economia – le tanto vociferate «dimissioni» del bocconiano Perotti potrebbero tornare a far volare i «gufi» attorno al governo. Dopo Enrico Bondi e Carlo Cottarelli, commissari alla «spending review» con l’onore al merito ma con pochi fatti, l’abbandono di Perotti aggiungerebbe incertezza lì dove invece Renzi pensa di vedere chiaro.Le cifre: oltre alla sanità ci sarebbe un miliardo e mezzo di euro che dovrebbe arrivare dai tagli lineari ai ministeri. è una costante dai tempi di Tremonti quando non si andava troppo per il sottile. Erano i tempi del taglio di 10 miliardi di euro a un solo ministero: quello dell’Istruzione e dell’università. La «cura Monti» ha inaugurato lo stile più discreto di un taglio del 3% del budget per singolo ministero. Sembra poco, non si vede. E i governi, come quello di Renzi, pensano di non farli vedere. Sono «sprechi». A quanto sembra qui si annidano resistenze, e le cifre sono ballerine. Di sicuro è stata fatta una scala: Difesa, Sviluppo, Agricoltura e Ambiente dovrebbero cavarsela con il minimo.

Altri, ad esempio l’Istruzione, potrebbero arrivare all’8%. Ma nulla è come appare quando si parla di legge di stabilità, soprattutto quando mancano i testi e l’attesa brucia tra annunci, numeri che vanno e vengono. Probabilmente domani, dopo nuovi annunci, la realtà (o un suo simulacro) sarà diverso. Ad esempio, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi., «Ho avuto degli incontri con Yoram Gutgeld, mi sembra ci sia voglia di fare finalmente una spending review seria, è sempre difficile fare delle cifre, aspettiamo di vedere cosa verrà fuori, ma mi sembra che ci sia una determinazione e una seria voglia di muoversi nella direzione giusta. «Mi sembra che questo Governo, almeno negli annunci, abbia colto le aree dove mettere mano. Noi siamo assolutamente d’accordo e lo sosterremo»» ha detto.

Nel fumo della stabilità talvolta i rapporti personali aiutano a chiarirsi le idee. Se gli industriali, pur prudenti, riscontrano la «determinazione» del governo, allora la dichiarazione serve a riequilibrare le incertezze di prima. Ad avere suonato un campanello d’allarme sono stati in tanti in queste settimane: Bruxelles, i tecnici del senato, la Corte dei conti, e poi l’ufficio parlamentare di bilancio.In maniera diversa hanno avanzato dubbi sulla cancellazione delle clausole di salvaguardia, quegli aumenti automatici di Iva e accise che scatteranno in caso di coperture finanziarie certe alle misure costose volute da Renzi.