Abbiamo un urgente bisogno, impellente più che mai, di «risensorializzarci». Non erano ancora stati inventati videogiochi, smartphone, non c’erano i social ma un gigante dell’ecologismo mondiale, uno scienziato e grande umanista a tutto tondo, Konrad Lorenz, nel suo Gli otto peccati capitali della civiltà occidentale lo preconizzava. Specialmente nel capitolo L’estinguersi dei sentimenti anticipava questa attuale e generale perdita di empatia, di capacità di resistenza a qualsivoglia inciampo, naturale, diceva lui, nella nostra vita di uomini.

Prevedeva anche la progressiva perdita della sensorialità, egli dedicò tutta una vita alla scoperta di quella scienza, l’etologia, lo studio del comportamento degli animali che gli avrebbe valso il Premio Nobel nel 1973. Certamente avere degli animali è un ottimo antidoto contro questa progressiva deprivazione di sensorialità e di sentimento. Non solo gli animali di compagnia, ma anche le galline, le api, il prendersene cura ci assorbono totalmente e ci permette di vivere nel qui ed ora reale combattendo questa sorta di estraniazione dalla vita che sta interessando le giovani generazioni. Dare in mano un vasetto con una piantina ad un bambino e constatare come questi, e sono tanti, non sia capace di tenerla in mano un attimo e la rovesci, per terra, è qualcosa che atterrisce. Giocare per strada, imparare a conoscere i rischi che ci sono, avventurarsi per i campi, sono esperienze che i nostri ragazzi non fanno più, o fanno sempre meno.

Eppure, uno spazio nel quale coinvolgere i ragazzi per aiutarli a ricollocarsi in uno spazio, aiutarli a riscoprire il senso del tempo e delle stagioni, esiste. Si chiama orto, si chiama giardino, si chiama campo. Proprio in questo periodo, scorcio d’estate, possiamo giocare con i nostri ragazzi a un gioco bellissimo. L’orto dei cinque sensi. Conduciamo i nostri bambini nell’orto, mostriamogli le differenze sottili, delicate, per esempio, tra l’azzurro cielo dei fiordalisi, quello più violaceo della borragine, il diverso celeste della nigella damascena. Passando a colori caldi, l’arancio tenue delle calendule, quello carico delle emerocallis, ed infine, il trionfo opulento delle fresie. Questo per la vista. Facciamo toccare, dopo avere bendato i bambini, le foglie pelose della borragine, quelle lanose della stachys «orecchie di lepre», le foglie ruvide della salvia, le foglie lisce dell’alloro.
Sempre bendati, facciamo annusare il profumo di limone dell’erba cedrina, quello che somiglia al chewing gum dell’erba di San Pietro, il contrasto con la menta, il profumo inebriante della lavanda.

Proviamo col gusto, in questo momento le succose nespole, dolci, più asprigno il sapore del ribes, dell’uva spina, la dolcezza diversa dei lamponi. Ed infine l’udito: riconosciamo il fischio del merlo, il gorgheggio dell’usignolo, il garrire delle rondini, ci sono ancora i cuculi e, la sera, i grilli.

Le vacanze, una volta, per chi poteva permettersele, erano dette «villeggiatura» perché ci si recava in campagna. I sussidiari degli anni sessanta erano pieni di riferimenti alla vita in campagna, la monocultura delle spiagge non esisteva. Astrid Lingren, la nota scrittrice, non a caso ambientò le storie più belle di Pippi Calzelunghe in estate, scorribande sui fiumi, acquazzoni improvvisi, era un approccio profondamente liberatorio e fortificante. Invece di programmare nei minimi particolari la vita dei nostri figli con corsi di ogni tipo, portiamoceli nell’orto e lasciamogli una particella, insegniamo ciò che va insegnato e poi si arrangino. Oltre ad essere sempre un meraviglioso giardino dei cinque sensi, un orto è scuola di vita dove imparare il successo e l’insuccesso. Sfuggire alla deprivazione sensoriale di massa, si può. Dove possibile il contatto con gli animali, benvenuto, quello con le piante, e non esiste orto o minuscolo campicello che non sia visitato dalla piccola fauna, l’estate è il periodo più indicato, il «giardino dei cinque sensi» è uno spunto, sono altri mille i giochi da fare, scopriteli voi!