Ci sono comuni entrati nella memoria collettiva per lo spirito di condivisione e di solidarietà in seno alla comunità dei loro abitanti, per la capacità di apertura verso quelli della campagna e degli altri comuni vicini o lontani. Ma anche per la volontà praticata dei loro abitanti di essere parte attiva e cooperante della storia dei loro territori regionali, nazionali, continentali, per la loro disponibilità a conoscere ed aprirsi alle culture, ai modi di vita degli stranieri e degli abitanti della Terra sconosciuti.

In realtà, condivisione e solidarietà all’interno vanno di pari passo, con apertura e cooperazione verso l’esterno, diventato ai nostri giorni sempre più «interno».

La capacità utopica dei Comuni riguarda molti aspetti. Si è espressa nell’obiettivo della sicurezza di vita e della ricerca della non violenza e della pace, nel desiderio di promuovere una vita in armonia con il territorio fino al livello più vasto della comunità globale: comuni denuclearizzati, comuni virtuosi, comuni no Ogm, comuni no Ttip, comuni accoglienti, comuni per la pace.

I Comuni, da secoli, non sono più capaci, ne desiderosi di fare le guerre, di prelevare le tasse per gli eserciti. I loro abitanti, anche di grandi comuni, sono altresì portati a re-inventare il locale e il loro divenire molto di più di quanto siano disposti a fare gli Stati, specie i grandi Stati, gli Stati potenti, gli Stati che si dicono essere la veste politica delle grandi nazioni, imperiture, immortali. I municipalismi sportivi guerrieri, violenti, razzisti nel campo del calcio, esplosi negli ultimi anni, sono l’espressione barbara, malefica, di una società profondamente malata perché ha fatto della violenza economica, sociale, politica la modalità culturale patologica dei rapporti sociali con l’altro.

È in questo contesto che la storia di Riace assume un rilievo «universale». A cominciare dal 1998 con lo sbarco di duecento profughi del Kurdistan sulle sue spiagge di piccola cittadina della costa calabrese jonica sulla via dello spopolamento. I responsabili comunali e le associazioni da tempo attivi nel tentativo di arrestare l’emorragia socio-economica della cittadina, non impacchettarono le famiglie «illegali» sbarcate per darle alle cure dello Stato e del governo centrale. Decisero di accoglierle cosi come, poco a poco centinaia di altri immigranti.

Aggiustarono le case abbandonate, riaprirono le scuole, fecero venire un piccolo esercito di educatori, tutori, animatori, per accompagnare i nuovi abitanti ad aprire commerci, sviluppare l’artigianato locale e dei loro paesi di provenienza.

Per sostenere la rinascita economica furono create delle monete locali, nuove modalità di finanziamento cooperativo, nuove imprese comuni, il tutto nello spirito di una nuova avventura umana pacifica, solidale, di fraternità.

Le soluzioni si rivelarono pertinenti e efficaci. In pochi anni Riace ha accolto più di 1,270 immigrati extra-comunitari ed è rinata una nuova comunità con fini, basi e mezzi comuni ed in comune. In pieno contrasto con le politiche messe in atto dalle autorità centrali italiane ed europee in materia di economia, di sicurezza sociale e di sviluppo comunitario. E questo è stata la sua condanna, la sua perdita.

L’esperienza di Riace, per di più considerata dalla maggioranza delle forze vive dell’Italia, dell’Europa e dell’opinione pubblica mondiale, come una formidabile esperienza positiva d’integrazione/coesione plurale da tutti i punti di vista (culturale, sociale, etnico, religioso, politico, economico,….) è stata vissuta dalle forze al potere, specie con l’arrivo al governo di forze politiche e sociali profondamente xenofobe, razziste, nazional-fasciste, come un affronto, un’esperienza nemica, intollerabile.

Il resto è noto. Il governo italiano, sulla spinta rabbiosa e pervicace del nuovo Barbaro made in Italy ha dichiarato illegale e rea di delitti amministrativi-istituzionali l’esperienza di Riace. Probabilmente, le ha inferto troppe ferite gravi, letali, perché essa possa ristabilirsi e ritornare allo stato felice in cui era arrivata.

In teoria, nessuno ha il diritto di far morire una comunità umana, un comune, una città. Il Comune di Riace – i suoi abitanti a cominciare dal sindaco Mimmo Lucano – merita il premio Nobile per la pace, sarebbe un segno forte e chiaro alla comunità mondiale.