La dittatura della minoranza non è riuscita a imporsi ma lo scontro è solo rimandato: erano francamente eccessivi i titoli entusiasti dei giornali italiani di ieri sull’accordo che, aumentando il tetto dell’indebitamento pubblico fissato dal Congresso, impediva il default degli Stati Uniti. In realtà, la legge varata in Senato e votata poi obtorto collo dalla camera, si limita a rinviare lo scontro a gennaio-febbraio, quando occorrerà ridiscutere un nuovo tetto del debito.

I repubblicani della Camera vicini al Tea Party hanno già annunciato che non intendono rinunciare all’arma della «chiusura» del governo e possiamo prevedere un altro braccio di ferro a inizio 2014, un anno elettorale.
Il costo di questa tattica è estremamente pesante per l’economia americana, come sapevano benissimo i senatori repubblicani (più «centristi» dei colleghi della Camera) e come ha calcolato ieri il premio Nobel Paul Krugman: la fine di alcune deduzioni fiscali per i lavoratori dipendenti e la cessazione dell’indennità di disoccupazione per molti altri nel 2012 hanno avuto un effetto depressivo sull’economia calcolato nel 4%. In altre parole, se la ripresa è anemica e non produce posti di lavoro, la responsabilità sta principalmente nelle misure di austerità che i repubblicani sono riusciti a imporre a Obama l’anno scorso e che probabilmente imporranno nel 2014.

Lo scontro è interamente ideologico: lo shutdown del governo federale è stato causato dal tentativo di tagliare i finanziamenti per l’Affordable Care Act e su questo i repubblicani sono stati sconfitti: il presidente e la maggioranza democratica al Senato hanno tenuto duro. Il problema di un bilancio che però deve essere approvato da entrambe le camere del Congresso però rimane. Lo scarso entusiasmo mostrato dalla Borsa ieri è la prova che i mercati non credono molto alla soluzione raggiunta in extremis mercoledì.

I repubblicani hanno raggiunto, nelle ultime due settimane, una impopolarità mai vista prima nella storia del partito ma anche Obama non è particolarmente apprezzato dai cittadini: il 45% approva il suo operato, il 51% è contrario. L’anno prossimo si vota per rinnovare tutta la Camera e un terzo del Senato ma, per come funziona il sistema elettorale americano, non necessariamente nel novembre 2014 i repubblicani saranno puniti dai cittadini. La pratica del gerrymandering, del «disegno su misura» delle circoscrizioni elettorali ha permesso, infatti, ai repubblicani, di conquistare 235 seggi alla Camera nel 2012, pur avendo raccolto, su scala nazionale, 1,4 milioni di voti in meno dei candidati democratici.

I repubblicani perderanno forse qualche seggio alla Camera e dovranno dare addio al loro sogno di riconquistare il Senato, dove i democratici sono in maggioranza 55 a 45 ma difficilmente gli attuali equilibri del Congresso cambieranno di molto.
La democrazia americana è zoppa e solo un intervento costituzionale potrebbe rimetterla in marcia evitando il rischio di paralisi ogni pochi mesi.