Oggi seggi aperti dalle sette del mattino, lo rimarranno fino alle ventidue. Si vota per decidere il governo dei prossimi cinque anni, che dovrebbe decidere se completare la British Exit a targa Tory. Si sfidano le intemperie invernali per la prima volta da novantasette anni, di solito si preferisce votare in primavera. Ma è l’inverno della democrazia, in Gran Bretagna come quasi ovunque.

Queste elezioni anticipate, dopo quelle – anticipate anch’esse – del 2017, portano impresso il marchio Brexit, garanzia di divisione. Ne sono un supplemento. Per questo Boris Johnson le ha volute: «fare Brexit» per farla finita con Brexit, anche se ovviamente non sarebbe che l’inizio. L’alternativa Labour è di segno opposto: Brexit o non Brexit, rifondare la società britannica attenuandone le iniquità e gli squilibri, porre fine all’austerity, cercare di arginare l’incombente catastrofe ecologica.

CI SI DISPUTANO almeno 326 dei 650 seggi ai Comuni.

Con i sondaggi che danno i tories a meno di dieci punti davanti ai laburisti e i liberaldemocratici staccati di molte lunghezze, la situazione è grossomodo la stessa da giorni. I tories potrebbero avere una maggioranza assoluta, e in questo caso sarebbe “Brexit secondo Johnson”. Ma se questi non la ottenesse, nemmeno risicata, un hung parliament potrebbe far seguito al governo di minoranza che Johnson aveva ereditato da Theresa May e che non è riuscito a farsi approvare l’accordo di uscita dall’Ue, un fallimento che è a sua volta la causa di queste elezioni. Un perfetto uroboro, insomma. In quel caso, il partito con più seggi potrà decidere se fare una coalizione e un (altro) governo di minoranza.

Dell’impennata in extremis del Labour nelle ultime quarantott’ore della campagna del 2017 non c’è traccia. Ma se i sondaggi toppassero, com’è successo ormai abbondantemente, lo scenario più probabile sarebbe un governo Corbyn sostenuto dai nazionalisti scozzesi di Nicola Sturgeon (che costerebbe almeno un altro referendum scozzese). Nessuno dei leader piace davvero: Corbyn perché – a parte la trasformazione del suo antisionismo in antisemitismo da parte di tutti i media di regime – grazie alla vomitevole character assassination cui è incessantemente sottoposto da questi stessi media è percepito come un fricchettone idealista incapace di “crescere”. Johnson perché, nonostante la clownerie falstaffiana, è un bugiardo incapace di dissimulare fino in fondo il suo pensare ossessivamente soprattutto a… Boris Johnson. Una sua vittoria si dovrebbe soprattutto al fatto che i tories sono l’unico partito compatto dietro Brexit attraverso l’accordo da lui (e da Theresa May) stipulato con l’Ue.

IL BREXIT PARTY di Farage si è sgonfiato ancora con la scelta – in un evidente serrare i ranghi di classe – di non presentarsi in collegi in cui potrebbe causare una sconfitta dei tories; un Corbyn vittorioso, l’accordo lo rinegozierebbe del tutto per poi rimetterlo al paese in un altro referendum (senza dichiarare la sua posizione in materia); i libdem di Jo Swinson, i nazionalisti scozzesi, l’Snp di Nicola Sturgeon, i nazionalisti gallesi di Plaid Cymru e i verdi sono tutti per un secondo referendum. Lo scenario è delicato anche in Irlanda del Nord, teatro dell’affaire backstop, dove le promesse di Johnson sulla mancanza di controlli doganali sulle merci in transito fra Uk e Irlanda del Nord e viceversa si sono puntualmente rivelate fandonie. Le implicazioni di Brexit hanno prodotto un altro patto elettorale fra gli unionisti Dup e Uup e un inedito patto fra i nazionalisti Sinn Feinn e Sdlp in chiave anti-Brexit e anti Dup nei due collegi di Belfast nord e sud.

IERI ERANO LE ULTIME, trafelate scorribande dei carrozzoni elettorali, con i leader in giro per collegi più in bilico a baciare bambini, fare promesse e stringere mani in un ultimo appello agli indecisi e ai fluttuanti. La popolarità di Johnson si è prestata a varie soluzioni vaudeville: sfondare un muro di polistirolo ai comandi di una scavatrice, brandire viscidi merluzzi, spillare le solite pinte, fingersi lattaio e portare la sua Brexit parzialmente scremata porta a porta in Inghilterra settentrionale e nel Galles. Vedere questo ritratto del privilegio di nascita scimmiottare i mestieri di quelli di cui vuole il voto è il simbolo sinora più icastico di dove si trova il paese. Il più sobrio Corbyn era anche lui in Scozia e Inghilterra settentrionale, la liberaldemocratica Swinson nel Surrey, l’opulento sudest inglese. Surgeon, ovviamente, nell’avita Scozia.