La mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil contro il governo Draghi per una modifica sostanziale, ma non l’abolizione della «riforma Fornero», non è affatto esclusa. Tra «venerdì e sabato – ha detto il segretario della Cgil Maurizio Landini – valuteremo insieme quali iniziative mettere in campo perché i provvedimenti siano migliorati e modificati». E’ tesa la situazione per il governo che avrebbe voluto estendere la pax draghiana anche alle parti sociali ignorando il fatto che i problemi strutturali della precarietà e dell’allungamento record dell’età pensionabile unica in Europa non si nascondono nel confessionale di Super Mario. Si continua a trattare per trovare una difficile quadratura del cerchio dopo la clamorosa rottura del tavolo sulle pensioni, sulla riforma del fisco e sugli ammortizzatori sociali. «Tre miliardi non sono conciliabili con quello che si era ipotizzato, l’estensione della cassa integrazione, il potenziamento della Naspi» ha rivelato ieri la sottosegretaria all’economia Maria Cecilia Guerra che ha partecipato al tavolo con i sindacati e il governo. Per il momento si prospettano opzioni minime di aggiustamento di una «riforma» che prepara lo sfondamento del tetto dei 70 anni per tutte le generazioni che hanno iniziato a lavorare dal 1996, anno di entrata della riforma del sistema previdenziale in senso retributivo e non più contributivo. Si continua a parlare nel frattempo di una graduale uscita da Quota 100. Ieri dalla cabina di regia è emersa la proposta di «Quota 102» solo per il 2022. Si annuncia la proroga di un anno di Opzione donna e dell’Ape social, con estensione ad altre categorie di lavori gravosi.

Ieri è stata la giornata della solita commedia giocata dal precarizzatore principe, Matteo Renzi indimenticabile autore del Jobs Act che perfeziona il regime della precarietà di massa di cui fanno parte anche le pensioni cambiate negli anni Novanta. Il giochino è il solito: contrapporre i «giovani» ai sindacati che difendono i «vecchi». Lo stesso ha fatto il politico di cordata Calenda. Insieme hanno recitato lo spartito della consulente del governo, Elsa Fornero, che ieri in una lettera aperta ai sindacati ha difeso la propria riforma, la stessa che Draghi – dopo il triennio della «Quota 100» fatta per appagare la propaganda pentaleghista del «Conte 1 – vuole riportare a regime. Lo spartito sarà recitato a memoria se e quando i sindacati confermeranno la «mobilitazione».

Nell’attesa di definire l’agenda dell’autunno, mentre oggi il consiglio dei ministri varerà la legge di bilancio, ieri sono emersi alcuni elementi che servono a stabilire il quadro del dibattito. Il segretario del pensionati della Cgil Ivan Pedretti ha chiarito che la richiesta di riforma avanzata dai sindacati non mira a cancellare la «Fornero» e, dunque, l’intero percorso iniziato nel 1996 con la «Dini». «Nessuno vuole togliere la Legge Fornero, bisogna modificare i punti di strettoia e chiusura della Legge Fornero – ha detto Pedretti – Siamo in un sistema contributivo, che normalmente dovrebbe essere flessibile. Il sistema rigido colpisce le donne perché hanno meno contributi, i lavoratori delle piccole imprese e le persone che fanno lavori usuranti Se il tema è quota 102 sappiamo già chi può andare in pensione: 10-12 mila lavoratori stabili del pubblico impiego prevalentemente del nord, non ci saranno donne. In più 12 milioni di pensionati non arrivano a mille euro». «Chi attribuisce al sindacato l’idea di tornare al sistema retributivo – ha proseguito – non conosce la storia delle pensioni – ha aggiunto Domenico Proietti (Uil) – Cgil, Cisl e Uil, ha aggiunto – hanno sottoscritto nel 1995 la riforma Dini che realizzava il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Su quella riforma il sindacato mise la faccia, indicendo anche un referendum tra tutti i lavoratori che approvarono quella scelta».Non è stato il momento migliore della recente storia sindacale. Riforme analoghe, anche se non paragonabili, hanno incontrato l’opposizione dei sindacati francesi sin dal 1995.

Al tavolo con Draghi Landini ieri ha detto di avere posto l’intera partita di cui fanno parte anche le pensioni. Alla base c’è la precarietà strutturale in cui oggi si trovano tutti dai 18 a oltre 50 anni. Senza un lavoro stabile è chiaro che il sistema attuale sarà ingovernabile. è la contraddizione creata dall’epoca dei governi di ogni colore negli ultimi 30 anni. «Mettere al centro i giovani, quindi, vuol dire cancellare il lavoro precario» sostiene Landini. Dunque il Jobs Act e il suo mondo?