La prima manifestazione contro il governo Conte 2 la faranno i pensionati. Arrabbiati per la mancanza della parola «anziani» dal lungo programma di governo, Spi Cgil-Fnp Cisl-Uilpa ieri hanno deciso di scendere in piazza a novembre dopo una mobilitazione territoriale.

«C’È BISOGNO DI SOSTENERE la sanità pubblica e universale, invertendo la rotta con la politica dei tagli e dotandola delle risorse necessarie al suo rilancio. Così come non è più rinviabile la definizione di una legge nazionale sulla non autosufficienza, per affrontare quella che sta diventando a tutti gli effetti una vera e propria emergenza nazionale che riguarda milioni di anziani e le loro famiglie. C’è, infine, bisogno di tutelare i redditi da pensione, la maggior parte dei quali non arrivano ai mille euro al mese. Riteniamo per questo indispensabile che la riduzione del carico fiscale, giusto e doveroso nei confronti dei lavoratori, sia esteso anche ai pensionati. Confidiamo – concludono Spi, Fnp e Uilp – che il governo sia di vera svolta, che si confronti nel merito con il sindacato e che si faccia carico di queste tematiche».

Per il segretario generale dello Spi Cgil Ivan Pedretti «quando si scende in piazza non lo si fa necessariamente per protestare o contro qualcuno, ma anche per chiedere di essere ascoltati e per sollecitare delle risposte. Le nostre rivendicazioni sono antiche e note: chiediamo di pagare almeno le stesse tasse dei lavoratori, una legge nazionale di civiltà sulla non autosufficienza e risorse per il rilancio della sanità pubblica».

LA NOTIZIA DELLA PROTESTA è arrivata in un giorno denso di avvenimenti sul piano previdenziale e sindacale. Se i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto al nuovo-vecchio premier Giuseppe Conte «un incontro urgente sulla legge di stabilità» prendendo spunto dalle sue dichiarazioni programmatiche, il segretario della Cgil Maurizio Landini era a Bruxelles per incontrare il neo presidente del parlamento europeo David Sassoli chiedendogli di «cambiare l’Europa aumentando gli investimenti in ricerca e istruzione e di rivedere il trattato di Dublino».

A CHIEDERE INVECE DI NON cambiare le pensioni in Italia è la solita Ragioneria generale dello Stato. Il vero guardiano dell’austerità – specie previdenziale – è tornato a farsi sentire ieri. Con il chiaro intento di bloccare sul nascere i tentativi di ridare flessibilità al sistema e alle prime avvisaglie di «pensione di garanzia per i giovani» – prevista nel programma del nuovo governo – , l’entità astratta che fa parte del ministero dell’Economia ha lanciato l’allarme sui costi di Quota 100.

Nel “Rapporto 2019 sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario”, la Ragioneria stima in ben 63 miliardi gli effetti di Quota 100 fino al 2036, pari ad un aumento di 0,2 punti di Pil l’anno che porterà ad un picco della spesa previdenziale del 15,9% nel 2022.

LA DOMANDA SORGE SPONTANEA: come può un «provvediemento sperimentale triennale» che a bilancio prevede 20 miliardi di costi – con 4 già risparmiati nel 2020 a causa del flop nelle domande – costare 43 miliardi negli anni successivi? Il cosiddetto «effetto trascinamento» e quello del blocco fino al 2026 dell’adeguamento dell’aspettativa di vita per la sola pensione anticipata non possono spiegarlo.
Una risposta prova a darla il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli: «Non si possono prendere a pretesto questi dati per bloccare Quota 100, che si sta dimostrando ampiamente sottoutilizzata rispetto alle previsioni, come ampiamente previsto dalla Cgil. O per fare altri interventi restrittivi sulla previdenza che, al contrario, necessita di una vera riforma che superi l’impianto della legge Fornero che il precedente governo ha lasciato inalterata».