«Siamo qui casualmente il giorno prima delle primarie, ma va bene che ci sia oggi. È anche un messaggio al Pd: noi ci siamo, però allargate». Il sindaco di Milano Beppe Sala parla dal corteo «People – prima le persone». Nella corsa dei candidati alla segreteria del Pd non si è schierato, ma quell’«allargate» dice molto. Due anni fa, alla prima manifestazione «contro i muri» – che fra l’altro contestava i decreti Minniti-Orlando sui migranti e sulla sicurezza – accanto alla rete «Nessuna persona è illegale» e a migliaia di italiani e stranieri che per ore sfilarono in città, proprio come ieri contro il ministro Salvini, Sala c’era, e aveva schierato il suo comune fra gli organizzatori della giornata.

IERI, VIGILIA DELLE PRIMARIE, al corteo sono arrivati due dei tre candidati alla segreteria Pd. Una bella photo-opportunity per il popolo democratico, quanto poi corrisponda ai fatti del futuro Pd andrà misurato. Maurizio Martina era già venuto nel 2017, quella volta mandato da Renzi, di cui era vice. Nicola Zingaretti condivide con Sala il modello di «coalizione civica allargata» con cui governano l’uno a Milano l’altro nella regione Lazio. E, va detto, ha tra i suoi grandi elettori sia Andrea Orlando che il contestatissimo Marco Minniti. «Anche da qui va ricostruita la sinistra: tra le persone e non con le figurine e gli schemi dei politici», ha detto ieri.

OGGI IL PD CERCA LA FORZA e la spinta per cambiare dai gazebo, cioè dagli elettori. Aperti dalle 8 di mattina alle 20, settemila in tutto, di cui 150 nel resto del mondo, 35 mila volontari. Fra loro Carlo Calenda. Ha chiesto di fare lo scrutatore nel seggio non proprio periferico di Piazza del Popolo, a Roma. Per far parlare di sé e del suo manifesto europeista, in questa campagna per le primarie l’ex ministro ne ha inventate molte, non tutte felici. È iscritto al Pd ma non voterà. Intanto però ieri mattina era alla chiusura di campagna a Roma con Roberto Giachetti, che lo ha gratificato: «Con me segretario del Pd Calenda sarebbe a casa».

UNA FRASE CHE DICE MOLTO. In gioco, oggi nelle urne, c’è la strada futura del Pd per riconquistare consensi: quella di un sistema di alleanze di centrosinistra, proposta da Zingaretti; e quella della «vocazione maggioritaria» di matrice veltroniana, declinata con Renzi in autosufficienza e di fatto isolamento.

IL VINCITORE ANNUNCIATO è Zingaretti, ma la vera incognita è l’affluenza. L’asticella è il milione di votanti, una soglia psicologica (e politica) per considerare buona l’investitura del nuovo segretario. Anche se si tratterebbe del record negativo che conferma l’irresistibile discesa dai tre milioni e mezzo votanti del 2007 al milione e ottocentomila del 2017.

ALTRA INCOGNITA È LA SCISSIONE di Renzi: negata sempre ma sempre lasciata circolare come una spada di Damocle su Zingaretti. Accusato da Giachetti – che dice le cose che Renzi non può dire – di voler rifare il Pds e di voler far rientrare quelli della Ditta Bersani&D’Alema. Punta di diamante di questo ragionamento è proprio Calenda che propone un fronte antisovranista alle europee, spalancato alla sua destra e invece chiuso a sinistra: di fatto il contrario di quello che dice la mozione Zingaretti e tutta la sua campagna Piazza Grande.

CON MARTINA sono schierati gli ex renziani Lotti, Guerini e il presidente del partito Orfini. Con Zingaretti invece Gentiloni, Franceschini, Orlando, Cuperlo ma anche Prodi e Letta. Alla loro sinistra fa ingresso per la prima volta nei gazebo del Pd un network civico e radicale organizzato da Massimiliano Smeriglio, braccio sinistro di Zingaretti alla regione e suo vice dai tempi della vittoria alla provincia di Roma nel 2008, segno di un progetto a lungo misurato anche al vaglio del voto popolare.

FUORI CONCORSO invece Sinistra italiana, che pure nel 2012 con Nichi Vendola (all’epoca presidente di Sinistra ecologia libertà) aveva partecipato alle primarie per la coalizione Italia bene comune. Oggi Nicola Fratoianni, alla guida di Sinistra italiana, marca invece le distanze: «Zingaretti, Martina e Giachetti sono concordi nel dire che non farebbero una patrimoniale se andassero al governo, per sterilizzare l’aumento dell’Iva. In sostanza, i tre candidati del Pd esprimono su una delle principali questioni di politica economica e di giustizia sociale, la medesima posizione di Di Maio, Salvini e Berlusconi». ha spiegato ieri.

«Se su un tema dannatamente serio come come l’accumulo spropositato di ricchezza hanno lo stesso punto di vista di tutti gli altri, è davvero complesso trovare elementi di discontinuità rispetto al passato». Anche Fratoianni ieri era a Milano. Ma, spiega, «non è sufficiente evocare il cambiamento né pensare che il tema possa giocarsi sulle biografie e sui noiosi dibattiti politicisti. C’è da recuperare un enorme capitale di fiducia tradito in tutti questi anni dai governi di centrosinistra».