Enrico Letta non si è fermato mai nell’ultimo mese: una trottola in giro per tutte le città al voto, per spingere i candidati del campo (più o meno) largo di centrosinistra. È la prima campagna amministrativa che ha impostato fin dall’inizio dopo l’elezione a segretario nel 2021. Quella dell’anno scorso, con la vittoria a sorpresa in tutte le principali città, da Torino a Napoli, se l’era già trovata mezza cucinata dal predecessore Zingaretti. Questa, se possibile, è più dura. Lui la definisce «una partita in trasferta», perché nel 2017 il centrosinistra vinse solo in 6 capoluoghi dei 26 che tornano alle urne: Padova, Belluno, Palermo, Taranto, Cuneo e Lucca. Era il periodo più nero del declino renziano, «dell’autosufficienza» la definisce Letta con un certo garbo. In realtà erano le premesse per la storica sconfitta del 2018 alle politiche, il momento più nero dalla nascita del partito.

QUESTA VOLTA È DIFFICILE fare peggio, anche se le alleanze si sono costruite a macchia di leopardo, quasi ovunque con il Movimento 5 Stelle (che però è debole nelle città), con Calenda che gioca tante partitelle in proprio sapendo di perdere, tranne a Verona, capitale delle destre, dove l’ex calciatore Damiano Tommasi (grazie alla faida tra il sindaco Federico Sboarina e l’ex Flavio Tosi) potrebbe fare uno di quei gol fuori casa che, da soli, cambiano l’esito di una tornata elettorale. Espugnare la città dell’Arena, per il Pd, vorrebbe dire vincere queste amministrative, anche di fronte a sconfitte probabili a Genova e L’Aquila (governate dalle destre) e pure a Palermo, dove solo i recentissimi arresti in odore di mafia di due candidati di centrodestra potrebbero ribaltare una partita che sembrava chiusa a favore di Roberto Lagalla.

OLTRE A VERONA le partite più aperte per Pd e alleati sono Parma (vittoria probabile), Belluno, Cuneo, Lucca, Pistoia e Catanzaro. Cui vanno aggiunte le vittorie quasi certe a Padova e Taranto. In Lombardia successo a portata a Como e lotta aperta a Lodi. Poi ci sono i sogni di ribaltare il pronostico a Genova, L’Aquila e Piacenza, dove i sindaci uscenti di centrodestra sono in vantaggio ma dove l’obiettivo del secondo turno non è impossibile. Vincere una decina di capoluoghi sarebbe una vittoria, anche in caso di sconfitte a Palermo e Genova.

Qualcosa di più vorrebbe dire stappare bottiglie di champagne ai piani alti del Nazareno. Portare il sindaco genovese Marco Bucci, strafavorito, al ballottaggio, sarebbe un’impresa. Non è un caso che il leader Pd sia tornato più volte nel capoluogo ligure, per spingere il candidato Ariel Dello Strologo, partito con un distacco enorme ma poi in forte recupero con una campagna molto di sinistra e indirizzata alle fasce più sofferenti della città. «È un diesel», l’ha battezzato Letta.

IL SEGRETARIO DEM VOLA molto basso nei pronostici. «Spero di far crescere quel numero 6 del 2017», ha detto all’Ansa. «L’obiettivo sarà dimostrare che il campo largo è meglio dell’autosufficienza». Sul significato politico di questo appuntamento lui stesso pare incerto. «Questo è un voto amministrativo dal quale non trarre conseguenze politiche ma è importante per le città», ha detto alcuni giorni fa. Venerdì, chiudendo la campagna elettorale a Lodi, ha cambiato registro: «Siamo stra impegnati perché vincere Lodi significa vincere le politiche del prossimo anno. Per noi è importantissimo un segnale di crescita grazie alla strategia di allargamento messa in campo. Questo sarà l’ultimo voto nazionale prima delle politiche e non è un caso che qui l’altra volta perdemmo e poi perdemmo le politiche».

IL DATO POLITICO è che per Enrico Letta non cambierà molto. Nel 2021, appena insediato, un tracollo alle comunali avrebbe fatto traballare la sua sedia al Nazareno. Così come un fallimento nell’elezione del presidente della Repubblica. Ma centrati quei due obiettivi ormai Letta è saldo in sella, nel partito è chiaro a tutti che le politiche le gestirà lui, se le cose andassero male la destra dem potrebbe tornare all’attacco contro l’alleanza col M5S, ma quello è un dossier su cui lo stesso segretario deve ancora lavorare, a seconda della legge elettorale, di come i grillini arriveranno alle elezioni e dalla permanenza di Giuseppe Conte alla guida del Movimento. In ogni caso, la linea resta quella delle alleanze più larghe possibili.

«A chi mi critica perché testardamente continuo a lavorare al campo largo dico che non consegneremo questo Paese alle destre di Salvini e Meloni», ha spiegato da Palermo. «Faremo la scelta di costruire una coalizione coesa, su patti chiari, una coalizione che ci consenta di vincere e governare dopo». Quanto al governo, Letta resterà fedele a Draghi fino all’ultimo istante, a prescindere dall’esito del voto del 12 giugno.

SEMMAI, SARÀ interessante capire i risultati delle liste dem, dopo oltre tre mesi di guerra e una linea totalmente filo-Nato che ha creato malessere tra gli elettori di sinistra. L’obiettivo è essere il primo partito su base nazionale, davanti a Fratelli d’Italia. Altro dato interessante è verificare la possibilità di espansione del partito in città medie, quell’Italia profonda di solito meno generosa rispetto alle metropoli verso i dem. Poi, certo, c’è un po’ di colore degli ultimi giorni di campagna. E una moderata fiducia che in casa Pd è cresciuta dopo una partenza in salita. Tanto che Letta, dopo l’abbraccio di giovedì tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni sul palco di Verona, si è concesso uno sfottò: «Mi è sembrata la mossa di chi ha visto i sondaggi e si è messo una gran paura che lì le cose possano andare in maniera diversa…».