La condizione imprescindibile per avviare a soluzione «la guerra dei commons romani» è che l’ente locale si assuma la responsabilità di riappropriarsi del suo legittimo “potere di decisione autonoma” sulla destinazione attuale dei suoi beni.

Potrebbe fare ciò in due tempi. Anzitutto deve sottrarre gli uffici al fuoco di fila del danno erariale operando rapidamente una due diligence delle concessioni attuali per regolarizzare tutte quelle che risultano sostanzialmente legittime secondo criteri che ne misurino l’effettivo interesse pubblico. Non è opportuno optare per delibere ponte impostate su escamotage come la custodia temporanea, che non farebbero altro che protrarre la deregulation del passato, fornendo argomenti a favore della Corte dei Conti, né tantomeno per le fantasiose soluzioni prospettate da Tronca, che avrebbe azzerato a suo modo le concessioni tramutandole tutte in contratti privatistici.

Una regolarizzazione delle posizioni attuali non deve passare necessariamente per la messa a bando, come a torto prevedeva la delibera 140, che occorre revocare, in quanto vi sono sentenze della stessa Corte dei Conti che riconoscono che laddove non vi sia rilevanza economica nella concessione, cioè qualora il vantaggio economico dello sconto sul canone venga convertito interamente nel vantaggio collettivo dell’impatto sociale che essa produce, l’atto amministrativo non rientra nelle fattispecie a cui le direttive europee impongono l’evidenza pubblica.

È quanto ad esempio sta facendo l’Ater, l’ente di gestione delle case popolari della Regione, con una delibera (n. 27, 19-09-2016) che, in linea con il nuovo regolamento della Regione sulle concessioni (Dgr n. 540, 20-09-2016), autorizza la regolarizzazione di posizioni irregolari senza bando per concessioni non residenziali che prevedono anche il rientro da eventuali morosità attraverso la rateizzazione o opere di manutenzione a scomputo. Questo compito potrebbe essere facilitato da una ricerca avviata da una partnership di alcune realtà attive a Roma (Centro per la Riforma dello Stato, Contaci, Labis e Reter) che prevede la valutazione dell’impatto sociale delle concessioni comunali minacciate secondo un sistema di misurazione innovativo concepito dall’economista Luigi Corvo, docente a Roma Tre.

In prospettiva occorre concepire un nuovo regolamento che guardi al futuro cercando di tenere insieme i due principi attualmente in conflitto, informalità e legalità. Ciò può avvenire se l’informalità un tempo garantita dalla discrezionalità politica venga sostituita da processi partecipativi e garantita da una totale trasparenza, come si è suggerito con la pubblicazione della mappa interattiva. Invertendo il paradigma dominante, occorre dare priorità alle esigenze del territorio rispetto a quelle dei vincoli di finanza, perché il valore di questi beni, concepiti come un’infrastruttura unitaria, va molto al di là del loro puntuale valore immobiliare. Messi in rete attraverso un’infrastruttura digitale associata all’infrastruttura materiale, si garantirebbe una più ampia condivisione degli stessi, ma anche la condivisione delle progettualità e delle innovazioni che vi si generano, convertendo il patrimonio in un ecosistema di commons.

Un laboratorio diffuso e decentrato in cui sperimentare nuovi rapporti di produzione e convivenza fondati su cooperazione, sostenibilità e partecipazione, nonché un contrasto all’imperante mercificazione del patrimonio culturale mediante l’insediamento nel centro storico di attività produttive che coniughino tradizione e innovazione, artigianato e nuove tecnologie.