Aveva appena concluso il suo discorso per ricordare i 50 anni dell’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris (1963-2013), quando papa Francesco, a braccio, ha voluto intervenire sulla tragedia di Lampedusa. «Parlando di pace, parlando della inumana crisi economica mondiale, che è un sintomo grave della mancanza di rispetto per l’uomo – ha detto Bergoglio –, non posso non ricordare con grande dolore le numerose vittime dell’ennesimo tragico naufragio avvenuto al largo di Lampedusa. Mi viene la parola vergogna! È una vergogna!». E poi ha aggiunto: «Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie. Solo una decisa collaborazione di tutti può aiutare a prevenirle».

Ma anche alcuni passaggi del suo intervento sulla Pacem in terris, benché non facessero esplicita menzione a quanto avvenuto nel Mediterraneo, avevano a che fare con la questione immigrazione, con gli squilibri sociali ed economici del pianeta e con la responsabilità degli Stati. «Mi chiedo se abbiamo compreso la lezione della Pacem in terris» e «se le parole giustizia e solidarietà sono solo nel nostro dizionario o tutti operiamo perché divengano realtà»: «Non ci può essere vera pace», ha detto Bergoglio, «se non lavoriamo per una società più giusta e solidale, se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo a tutti i livelli». E questo significa «offrire ad ognuno la possibilità di accedere effettivamente ai mezzi essenziali di sussistenza, il cibo, l’acqua, la casa, le cure sanitarie, l’istruzione e la possibilità di formare e sostenere una famiglia».
Si tratta di obiettivi «che hanno una priorità inderogabile nell’azione nazionale e internazionale».

Non è la prima volta che Bergoglio si trova ad affrontare il tema dei diritti dei migranti. Lo aveva fatto proprio a Lampedusa, meta del suo primo viaggio, a inizio luglio, gridando «mai più morti nel Mediterraneo». Un auspicio che con la strage di ieri – frutto non di fatalità, ma conseguenza delle politiche restrittive dei Paesi europei su cui però non si dice nulla – appare decisamente superato. Lo aveva fatto anche quando, il 10 settembre, era andato in visita al Centro Astalli di Roma, una struttura per i rifugiati gestita dai gesuiti: «Quante volte non sappiamo o non vogliamo dare voce alla voce di chi, come voi, ha sofferto e soffre, di chi ha visto calpestare i propri diritti, di chi ha vissuto tanta violenza che ha soffocato anche il desiderio di avere giustizia!». E sicuramente lo farà anche oggi, da Assisi, facendo riferimento alla responsabilità della Chiesa e dei cattolici.

Intanto ieri in Vaticano si è concluso l’incontro di tre giorni degli otto cardinali chiamati da Bergoglio ad aiutarlo nella riforma della Curia e nel governo della Chiesa. La costituzione che regola il funzionamento della Curia (la Pastor Bonus) sarà riscritta, alleggerendo il centralismo romano, ha fatto sapere padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. E verrà ridimensionato il ruolo della Segreteria di Stato, cresciuto a dismisura durante gli anni in cui a guidarla c’era Bertone, che lascerà l’incarico il 15 ottobre.

Niente di nuovo invece sul fronte economico-finanziario: si attende il lavoro delle due commissioni nominate da Bergoglio, una sullo Ior e una sui dicasteri economici. E neanche una parola sulle questioni sensibili relative a divorziati, donne, omosessuali: evidentemente non se ne è nemmeno parlato.