Un pomeriggio dell’aprile 2022 un padre e un figlio di nome Elvio percorrono le strade genovesi. Elvio rievoca i fatti di cui è stato testimone o protagonista nei giorni del G8, quando con altri ventenni, «sciarpe sul volto, pietre nello zaino», raggiunse la città per contestare «l’evento che ritenevamo l’ennesimo sopruso dei potenti nei confronti del mondo intero».

Nel «romanzo a episodi» di Piero Sesia Lo scorpione di Ovada (Giovane Holden Edizioni, pp. 184, euro 15,40) è il figlio a narrare l’esperienza vissuta. Un passato che appare remoto, dal momento che il ragazzo è ormai diventato un adulto e l’adulto un anziano; la storia di un tempo lontano, di cui sembrano essersene perse le tracce nella società italiana di oggi.

TEMPI DIVERSI dunque si confrontano, in una doppia narrazione che alterna al racconto di quanto avvenuto allora quello della passeggiata compiuta nei medesimi luoghi, e che dice molto sul rapporto tra le generazioni. Una relazione affettiva e conflittuale, segnata dal marchio della storia e delle sue stagioni. Dove il figlio paventa i «pipponi» del padre, che a sua volta s’impegna in un silenzioso esercizio di ascolto (e di sospensione del giudizio). E dove si evidenzia lo smacco di categorie ideologiche inadatte a comprendere il motore di quell’antagonismo giovanile.

Non a caso, a detta di Elvio, nel caldo torrido di quei giorni i ragazzi non cantavano «Bandiera rossa» ma coretti da stadio e indossavano magliette con disegnato Vasco piuttosto del Che. «La rabbia era il cemento che ci teneva insieme. Una grande, immensa rabbia. Fluida e capace di infilarsi ovunque».

Ciò che persiste è la fisicità muta degli spazi, di un paesaggio urbano che resta ben riconoscibile e accompagna l’esperienza della memoria come aveva accompagnato quelle vicende. A scandire i due itinerari sono, di volta in volta, un distributore e un supermercato, la tristemente nota piazza Alimonda e la stazione Brignole, i quartieri residenziali e «i giardini spelacchiati e dimenticati in cui si rifugia nottetempo la tribù dei marginali».

C’è, nel libro di Sesia, l’eco delle pagine più buie di quel 2001, dalla tragica fine di Carlo Giuliani al pestaggio della Diaz, con le menzogne orchestrate dagli alti comandi per nascondere la realtà. Ma il tono sotteso rimane antieroico, con un filo di postuma amarezza che non cede al disincanto, e lascia spazio a inattesi momenti di comicità.

Più ancora che una testimonianza o una lezione politica resta, al lettore, la prova di una volontà di dialogo e comprensione che si fa strada tra ostacoli che parevano insormontabili: «ci siamo annusati e studiati e confrontati in questa nostra giornata particolare. Però ci siamo anche incontrati». Intorno a «un pezzo di storia di questo paese già sostanzialmente rimosso».