La manovra correttiva dovrebbe vedere la luce oggi. «E’ piuttosto corposa ma questo non giustifica il ritardo. Me ne scuso», ammette il ministro dell’Economia. Di più non anticipa. Si vedrà oggi, forse, e sarà un test utile per sondare sino a che punto il governo intende uniformarsi davvero agli ordini di Bruxelles, che chiede non solo una manovra pari a 3,4 miliardi ma vuole anche che sia «strutturale», e quanto invece Gentiloni e Padoan obbediscano a Renzi, che mira invece a evitare vincoli.

Il test in questione, e la successiva reazione della Ue, incideranno a fondo sugli sviluppi della questione che anche ieri ha tenuto banco, e che non uscirà di scena prima dell’autunno: l’aumento dell’Iva. Di fronte alle commissioni congiunte di Camera e Senato, ieri, Padoan ha escluso l’aumento per il 2018, ed essendo stato proprio lui a ipotizzare lo scambio tra aumento dell’Iva e taglio massiccio del cuneo fiscale, questo dovrebbe chiudere la questione. Non è così. Padoan, infatti, specifica di riferirsi alla manovra d’autunno, che il governo calcola alla partenza di 15 miliardi ma è una cifra sottostimata e che disinnescherà le clausole di salvaguardia, quelle che se scattassero imporrebbero un’impennata dell’Iva di tre punti.

Come verrà sminato il campo il ministro non lo dice e non lo sa. Infatti si tiene sul generico e parla solo di tagli e altre entrate. Insomma si vedrà, ed è palese l’intento di contrattare sino all’ultimo centesimo con Bruxelles per strappare una corposa riduzione. Per questo il ministro dell’Economia mette le mani in avanti da subito, sottolineando che l’aggiustamento di bilancio deve essere «graduale» e non traumatico: «Se accelerassimo la contrazione del deficit oltre il ragionevole rischieremmo di colpire la ripresa». Della quale il governo «non può dirsi soddisfatto» e che tuttavia c’è. Parole pronunciate a Roma per essere ascoltate a Bruxelles.

Sul versante opposto, Pier Carlo Padoan sostiene che anche «un rallentamento o una inversione della politica di consolidamento sarebbe controproducente». Anche questo è un messaggio rivolto non solo a Bruxelles a scopo di rassicurazione ma anche al molto più vicino palazzo del Nazareno. Come monito.

Sulla necessità di evitare le clausole Renzi e Padoan sono davvero d’accordo. Dove l’armoniosa intesa viene meno è sulle coperture dei tagli alle tasse, primo fra tutti quello promesso nel Def del cuneo. Su quel fronte Padoan è molto meno drastico. Ripete che la riduzione della pressione fiscale implica «la necessità di finanziare tale riduzione in modo permanente, così che i tagli siano credibili». E qui, anche se lo derubrica a «ipotesi tra le tante» e nega che si tratti di una sua «preferenza inossidabile» Padoan non mette affatto fuori gioco la sua idea di alzare l’Iva per finanziare il taglio del cuneo fiscale.

Sono discorsi che mandano su tutte le furie Renzi. Per lui che si continui a parlare di aumento dell’Iva è grave quasi quanto un effettivo aumento. Così si diffonde paura in una situazione che è già quasi di campagna elettorale. Soprattutto così si mina alla radice il dogma per cui grazie ai mirabolanti risultati del triennio renziano tutto va benone. Infatti sbotta. Prima manda avanti il capo dei deputati Rosato con un tweet ultimativo: «L’aumento Iva non è nel programma del Pd né può essere nelle intenzioni del governo». Poi il segretario in pectore prende di mira direttamente il ministro: «L’Iva non si tocca e non si toccherà. Secondo Padoan e altri professori porterebbe benefici. Non sono d’accordo. C’è una crescita più alta del previsto e spazio per ulteriori iniziative. Dobbiamo fare come in questi anni: andare in Europa a gomiti larghi». Non è ancora una dichiarazione di guerra, ma ci manca poco.

Padoan ne prende atto e quando a sera incontra il gruppo dei senatori Pd sul piede di guerra ingrana la piena retromarcia: «Lo scambio Iva-cuneo non ci sarà». Ma non significa che abbia rinunciato davvero all’idea. Molto dipenderà dalla linea del convitato di pietra.
C’è infatti un elemento irrealistico in questo dibattito tutto italiano: l’assenza del coprotagonista, cioè dell’Europa. Ma il silenzio della Ue si interromperà probabilmente dopo l’ufficializzazione della manovra correttiva.