Il governo tenta di chiudere in bellezza, prima di essere messo definitivamente in soffitta dall’accelerazione sulle elezioni (sempre più probabili in autunno): ieri l’inaspettata revisione al rialzo del Pil del primo trimestre 2017 da parte dell’Istat (all’1,2%), ma soprattutto il pressing del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan per ottenere dalla Ue una sostanziosa dose di flessibilità sulla prossima legge di Bilancio, ben 9 miliardi di euro. Se la richiesta andasse a buon fine, si potrebbe evitare l’aumento dell’Iva con soli 6-7 miliardi grazie al «tesoretto» concesso da Bruxelles. Altrimenti, in ottobre si dovrebbe disegnare una manovra ben più pesante, meno gestibile dai partiti della maggioranza in cerca di consensi nelle urne.

LA REVISIONE AL rialzo della crescita ha sorpreso non solo il governo (il premier Paolo Gentiloni l’ha salutata con un tweet soddisfatto ma contenuto, come è nei suoi modi) ma anche gli analisti, viste le proporzioni: un raddoppio del Pil trimestre su trimestre, dallo 0,2% allo 0,4%, e un aggiustamento altrettanto sostanzioso su base annua, dallo 0,8% all’1,2%.

Dietro la correzione dell’Istat, rispetto ai dati diffusi appena due settimane fa, non c’è una sola leva ma una miscela di ingredienti. Il primo è l’accelerazione della spesa delle famiglie. Va bene il settore dei servizi, e in particolare le attività connesse al credito. Proprio sul fronte credito ha giocato un ruolo non da poco la ripresa del «mattone», a cui si accompagna la volata dei mutui (+17% nel 2016). Ma non basta, un contributo notevole è arrivato dai magazzini: le imprese hanno deciso di fare il pieno di scorte dopo un periodo di estrema prudenza.

QUANTO A PADOAN, ha sicuramente accelerato per almeno due motivi: uno, la spinta dei dati positivi segnati nelle ultime settimane (perlomeno sul piano macro: l’occupazione è sempre da guardare con attenzione, il più delle volte a crescere sono i contratti precari); due, la probabilità sempre più alta che in autunno si vada a elezioni, con la necessità di lasciare quindi un fardello meno pesante possibile nel momento delicato del voto.

Ed ecco la richiesta, inviata via lettera ai commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. Secondo l’Italia, spiega il titolare di Via XX Settembre, la correzione del deficit strutturale del 2018 non dovrà più essere dello 0,8% del Pil, come previsto solo un mese e mezzo fa nel Def, ma limitata allo 0,3%. È questo l’unico modo per non schiacciare l’economia con l’estremo rigore dei conti. L’Italia chiede in pratica nuova flessibilità, da applicare nella manovra per il 2018.

L’alleggerimento richiesto dello 0,5% sul deficit è pari a 9 miliardi di euro, e visto che allo stato attuale sui conti italiani pesano ancora poco meno di 16 miliardi di clausole di salvaguardia sull’Iva (3,8 sono stati già disinnescati con la «manovra-bis» appena approvata alla Camera), il «debito» relativo alle clausole si ridurrebbe a meno di 7 miliardi.

SULLA VOCE IVA insomma resterebbe, se la Ue ci accordasse lo sconto, un importo molto più gestibile: che il governo, qualsiasi esso sia, potrebbe decidere di far scattare, con ritocchi dell’imposta a questo punto inferiori rispetto a quelli previsti, o di eliminare completamente andando a caccia di altre coperture. «Il mio obiettivo è di lasciare il paese con le finanze pubbliche nel miglior stato possibile e in piena sicurezza», ha commentato Padoan, parlando «come ministro delle Finanze in carica, ma – per sua stessa ammissione – anche come membro di un governo che tra qualche mese sarà rimpiazzato da un altro».

Il ragionamento sulle possibili elezioni in autunno non può sfuggire nemmeno a Bruxelles. La risposta alla «ragionevole» proposta dell’Italia – ha sottolineato il ministro, decisamente più generoso del solito in commenti e dichiarazioni – arriverà nelle prossime settimane, ma Moscovici si è già mostrato benevolo. «Questa Commissione è al fianco dell’Italia – ha assicurato -Non faremo nulla per ostacolare la crescita» del Paese.