Il vicepresidente spagnolo e leader di Unidas Podemos, Pablo Iglesias, non sembra intimorito dalla possibilità che il Tribunale Supremo possa imputarlo. «È impossibile», spiega nella sua prima intervista da ministro al manifesto. E rilancia: «La pandemia è un’opportunità storica per rafforzare il sistema di salute e affrontare le debolezze storiche della nostra struttura produttiva».

Può spiegare ai lettori italiani come è possibile che lei sia passato da essere vittima di spionaggio a possibile imputato?

È difficile spiegarlo, soprattutto tenendo presenti i fatti provati: nel novembre 2015 a una mia collaboratrice è stato rubato un telefono il cui contenuto è stato ritrovato durante una perquisizione a casa di un ex commissario di polizia che ora è in carcere, accusato di crimini di enorme gravità come lo spionaggio. Durante la perquisizione, vennero trovate prove che aveva girato informazioni di quel telefono ad alcuni giornalisti di estrema destra, e sappiamo che questi giornalisti le pubblicarono. Nel sequestro a casa del commissario Villarejo è stata anche trovata la registrazione di una conversazione con uno di questi giornalisti, Eduardo Inda, che diceva di aver già preso ‘tutta la ciccia’ dal pendrive rubato. Tutti fatti provati e accreditati. Il resto è inspiegabile. Come vicepresidente io devo essere prudente e avere fiducia nella giustizia e credo che sia evidente quale sarà la risposta del Tribunale Supremo. Ma certamente c’è un allarme in Spagna per la politicizzazione della giustizia. Domenica per esempio la presidente della comunità di Madrid ha detto a un grande giornale (El Mundo, ndr) che la resistenza al governo è guidata da lei, dal re e dalla giustizia. Sono dichiarazioni gravissime.

Perché crede che la stiano attaccando?

Siamo il primo governo di coalizione della storia recente della democrazia spagnola. La nostra stessa presenza ha infranto una clausola di esclusione storica, come quella che in Italia impediva ad alcune forze politiche di governare oltre il livello di comuni e regioni. In Spagna con noi tutto questo è finito. E fa lo stesso che il programma negoziato con il Psoe verrebbe definito da qualsiasi economista come socialdemocratico. Il problema non è quello che facciamo, ma chi siamo, da dove veniamo e quello che rappresenta per alcuni poteri storici che gente come noi possa stare al governo. Tutto questo in un contesto in cui la pandemia ha distrutto i paradigmi dell’economia neoliberale imponendo un consenso neokeynesiano. Il governo, con i suoi limiti e contraddizioni, ha dimostrato che con le politiche sociali si risponde meglio alle crisi che con i tagli. Se a questo aggiungiamo che nella società si sono aperti dibattiti che preoccupano questi poteri, come il dibattito sulla monarchia – proprio ieri è uscita un sondaggio dove i repubblicani superano i monarchici – e la forza repubblicana con più peso e voti siamo noi, beh, si capisce che ci sono certi settori a cui non piace la democrazia quando non vincono loro.

Che farà se sarà imputato?

È impossibile che si produca questa imputazione. Non dimentichiamo che la stessa Audiencia nacional ha detto tre settimane fa al giudice istruttore che mi doveva restituire lo status di parte lesa. Questo rende del tutto inverosimile che il suo scritto in cui propone di imputarmi arrivi da qualche parte, a meno di ignorare la legalità stessa. E comunque siamo davanti al mondo al contrario: noi siamo stati vittime di spionaggio illegale, è provato. C’era una struttura di fogne diretta dal governo del Pp che lavorava per proteggere i propri corrotti, inventando prove contro l’opposizione, con un versante parapoliziesco e uno mediatico. Veniamo accusati di esserci inventati che ci stavano spiando per ottenere benefici elettorali. È delirante.

Il leader di Podemos ad un appuntamento di piazza.

In questo paese ci sono persone in carcere con pene gravissime solo per aver chiesto di votare un referendum.

Per me, gli indipendentisti in carcere dovrebbero essere liberi, esercitando i loro diritti politici. Detto questo, uno dei problemi politici storici irrisolti della Spagna è la questione territoriale. È un fatto che i cittadini di alcuni territori come la Catalogna vorrebbero una relazione giuridica diversa del proprio territorio con il resto dello stato. Il conflitto catalano non si risolverà con carcere o processi, ma con negoziati e dialogo politico. Noi lo abbiamo sempre difeso, e siamo sempre stati contro le misure giuridiche eccezionali. Io sono stato a visitare i prigionieri indipendentisti in carcere, credo che nessun altro membro del governo attuale lo abbia fatto.

È più duro del previsto fare il ministro? In casa siete in due con la sua compagna Irene Montero, ministra per l’Uguaglianza, e tre figli; ricevete minacce di morte quotidiane…

Da cinque mesi abbiamo tutti i giorni militanti di estrema destra alla porta di casa. E questo implica una presenza permanente della polizia. Non possiamo uscire da soli, neanche per cose che facevamo prima, come portare i cani a spasso o fare una passeggiata tranquilla con i nostri bimbi. Ora bisogna farle con protezione e non è semplice. Però sapevamo a cosa saremmo andati incontro e quello che rappresenta la nostra presenza politica. E in un certo senso è anche motivo di allegria, perché tanta ostilità è la dimostrazione che si possono cambiare le cose. Se fossimo come gli altri, se ci fossimo trasformati in quello che criticavamo, non riceveremmo tanti attacchi e intimidazioni. Sacrifici personali, moltissimi. Ma non possiamo lamentarci troppo: a persone con le nostre idee non troppo tempo fa le incarceravano, le torturavano o gli sparavano. Per questo dobbiamo essere prudenti e misurati con le lamentele sulla pressione di cui siamo oggetto.

Come avete gestito questa pandemia? Podemos riuscirà a raggiungere gli obiettivi che vi siete prefissi con la crisi che ci aspetta?

Nessuno si aspettava una pandemia come quella che stiamo vivendo. Ma la pandemia ci sta dando diverse lezioni. La crisi ha messo sul tavolo la necessità del rafforzamento del pubblico, dobbiamo puntare a un sistema di salute pubblica molto più forte, dove medici infermieri e personale sanitario non lavorino in condizioni di precarietà. E allo stesso tempo le conseguenze sociali di questa crisi mettono in evidenza una cosa per noi essenziale da tempo: il ruolo imprenditoriale dello stato.

Come governo sorgono molte opportunità, con l’arrivo dei fondi europei e con il cambio di paradigma economico, per affrontare alcune delle debolezze storiche della nostra struttura produttiva. Abbiamo un paese troppo dipendente dal turismo internazionale, pieno di industrie con basso valore aggiunto, come il mattone, alla base della corruzione, e ora abbiamo l’opportunità di puntare su una industria che si sviluppi in maniera sostenibile, sulla ricerca e l’innovazione, su una politica della cura delle persone, che universalizzi l’educazione infantile e che sia capace di trasformare il sistema di sussidi per le persone dipendenti, rinforzando l’attenzione domiciliaria invece del sistema di case di cura attuale.

Ai critici della decentralizzazione in Spagna dico che questa è un valore. Credo che un sistema di co-governanza o sovranità condivisa sia buono in termini di efficacia e che ci permetterà di affrontare i grandi dibattiti territoriali, tenendo presenti anche i grandi dimenticati della decentralizzazione, i comuni. Certamente abbiamo commesso errori. Però possiamo essere orgogliosi di come stiamo affrontando delle sfide storiche. Per questo è comprensibile la tensione da parte di alcuni settori di destra che vedono finire una epoca e nascerne una con idee completamente diverse.

E che succederà con la riforma del lavoro, la protezione del diritto alla casa, i diritti dei migranti?

Il processo di smantellamento della riforma del Lavoro del Pp, avviato dalla ministra Yolanda Díaz, è chiaro: dialogo sociale e accordi con la confindustria. Per i temi che non formano parte dell’accordo di governo, dovremo combattere molto. Ma quello del controllo degli affitti e del diritto alla casa c’è e per noi è essenziale. E lo incasseremo con l’approvazione del bilancio, che credo otterremo con una solida maggioranza di sinistra rafforzata e che dimostra la pluralità territoriale del paese. Sui migranti, la nostra posizione è chiara: credo che il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere l’asse della politica migratoria del nostro paese. Ma siamo consapevoli che l’accordo di governo è molto più limitato di quanto non ci sarebbe piaciuto. E che abbiamo solo 35 deputati contro i 119 del Psoe.