Un giorno Osvaldo Soriano stava raggiungendo a grandi passi una libreria di Buenos Aires, dove lo attendevano per la presentazione di un libro, quando incontrò un compagno di giochi che non vedeva da tantissimi anni, il quale gli chiese dove fosse diretto e Soriano rispose: «Amico mio, me ne sto andando».

Poi i due si abbracciarono. Alcuni mesi più tardi, a fine gennaio 1997, un cancro ai polmoni se lo portò via , dopo un delicato intervento chirurgico senza esito.

Osvaldo Soriano è stato un rifugiato politico, era nella lista nera di Jorge Videla, capo della giunta golpista argentina del 1976, responsabile del piano Condor, che portò alla sparizione di migliaia di desaparecidos.

Raccolse in tutta fretta poche cose e si fece accreditare in Germania dal giornale per cui lavorava Pagina/12 per un incontro di boxe del pugile argentino Monzon.

Allora essere rifugiato politico aveva un significato profondo e spingeva le persone alla solidarietà e a farsi carico del suo vivere quotidiano, contrariamente al presente, quando sulle coste italiane arrivano tanti rifugiati che sbarcano nell’indifferenza generale.

PARIGI E ROMA

Osvaldo Soriano oltre che apprezzato giornalista sportivo, in Argentina era noto per aver pubblicato Triste solitario y final, un libro che aveva conosciuto un vasto successo di pubblico.

In Europa visse di stenti, per qualche anno a Bruxelles, in una mansarda piccola e polverosa, arrangiandosi con saltuarie traduzioni e collaborazioni, lamentava che quelle condizioni non gli consentivano una sufficiente concentrazione per scrivere racconti.

Poi si trasferì a Parigi, dove una vasta rete di solidarietà gli permise una vita più stabile. Quel libro fu pubblicato anche in Italia, nell’indifferenza della critica.

A recensire con toni entusiasti Triste solitario y final in Italia, fu lo scrittore Giovanni Arpino, che dalle colonne del quotidiano La Stampa, dove scriveva anche di calcio, elevandolo a letteratura, elogiò Osvaldo Soriano. Lo scrittore piemontese, autore di Azzurro Tenebra, romanzo sul calcio imperniato sulla spedizione azzurra ai mondiali del 1974, che aveva come figura centrale il capitano della nazionale e dei nerazzurri Giacinto Facchetti, divenne grande amico di Soriano, che di quella recensione venne a sapere per vie traverse solo tre anni dopo.

MARADONA

El Gordo, così lo chiamavano gli amici argentini perché era in sovrappeso, seppur tardivamente, ringraziò Arpino con una lettera, che iniziava con un reverenziale «Estimado senior Arpino», ma i due in breve tempo passarono a darsi del tu e la corrispondenza epistolare divenne più fitta.

Non mancarono di piangere sulle sorti in cui versavano le rispettive squadre del cuore il San Lorenzo de Almagra, stessa squadra per la quale tifa papa Francesco, compagine, come lamentava Soriano, passata nelle mani dei gruppi paramilitari di destra che fiancheggiavano la giunta fascista di Videla, e per Giovanni Arpino il Torino, ma fu Soriano a indicare la soluzione, che se attuata avrebbe cambiato non solo la cattiva sorte di allora, ma la storia della squadra granata: «Gli amici mi dicono che in un piccolo club di Buenos Aires, l’Argentinos Juniors, c’è la salvezza del Torino. Si chiama Diego Armando Maradona, ha 18 anni ed è il più grande giocatore (anche se è basso di statura) degli ultimi 30 anni, costa credo 5 milioni di dollari. Se il Torino ha quei soldi è salvo. Poi non dite che non vi avevo avvertito».

AL MANIFESTO

Osvaldo Soriano si trasferì a Roma e in occasione dei mondiali di calcio del 1990 lavorò al manifesto. I suoi articoli, che qualche editore dovrebbe pubblicare insieme ai suoi racconti sul calcio, non erano mai banali, e pur non trascurando lo svolgimento e gli esiti delle partite mondiali, ammaliavano i lettori perché raccontavano quello che Soriano coglieva tra la redazione di via Tomacelli e lo stadio Olimpico di Roma.

Nel suo primo articolo pubblicato il 12 giugno, giorno di esordio degli azzurri, intitolato «Luna di miele a Roma», colse una miriade di flash: una coppia di francesi, terrorizzati dal can can post partita fatto dai romani, due sposini che festeggiano nella hall di un hotel vicino la redazione, il bar Rosati che rinchiude frettolosamente i tavolini. E poi il pizzaiolo nei pressi di via Tomacelli, che dopo Italia-Argentina gli chiede la nazionalità, ma siccome Maradona aveva sottratto il sacro fuoco agli azzurri, portando gli argentini in finale, El Gordo si spacciò per un giornalista dell’Uruguay, lasciando il dolce a metà per raggiungere la più sicura redazione del manifesto, visto che tirava brutta aria.

Qui Soriano trovò l’ispirazione per scrivere racconti, il primo comparve il 17 giugno «In due sulla Rolls» un’altro a casa sua in piena notte ispirato dall’incontro con Diego Armando Maradona nel ritiro di Trigoria la sera prima di Italia-Argentina.

FÚTBOL

Osvaldo Soriano è stato un discreto giocatore argentino, dovette abbandonare il calcio dopo un grave incidente al ginocchio. Diceva di non essere preparato abbastanza per scrivere di fútbol, perché le implicazioni del calcio sono enormi, in compenso si riteneva più bravo a scrivere racconti, come la descrizione del rigore più lungo del mondo, durato una settimana, presente nella raccolta Pensare con i piedi.

Amava molto parlare di calcio, e di quei personaggi chiamati «Perdenti vestiti di sogno» che animavano i suoi racconti. Dall’Argentina, dove era tornato dopo libere elezioni, mandava corrispondenze al manifesto, a suo parere la situazione politica non era cambiata granché, visto che gli argentini votavano per «coloro che giocavano a golf».

A qualche amico italiano, confidò che voleva scrivere il seguito di Triste, solitario y final con protagonista Emilio Salgari, in Sudamerica popolarissimo, ritenuto il padre degli eroi dei racconti, e anche un romanzo su Maradona, ma se ne è andò prima del tempo.

A volte ci chiediamo che cosa avrebbe scritto Osvaldo Soriano su questo calcio globalizzato, sull’intreccio tra calcio e finanza mondiale, sui migranti e su altro ancora.

Rileggere i suoi articoli e i racconti può aiutarci.