Bandiere rosse sindacato e verde ecologista, metalmeccanici in polo grigia e studenti fuorisede con piercing e camicie sgargianti. È una platea anomala quella che ha animato l’assemblea svolta ieri di fronte ai cancelli dell’Azienda Italiana Autobus di Bologna, l’ex Breda-Menarinibus. Anomala, ma non inedita.

QUELLA DELLO STABILIMENTO di via San Donato, alla periferia del capoluogo emiliano, è una storia di ordinaria de-industrializzazione. Storicamente di proprietà Finmeccanica, nel 2014 Breda-Menarinibus confluisce in Industria Italiana Autobus (Iia) assieme alla campana Irisbus. Le quote di maggioranza della società sono pubbliche, ripartite tra Invitalia e Leonardo. Ma lo stato non ha intenzione di impegnarsi nel settore, e cerca un compratore. Il gruppo Seri – compagnia estranea al settore automotive e con alcuni fallimenti alle spalle – ha dato la sua disponibilità. I sindacati però non si fidano della prima privatizzazione dell’era Meloni, e chiedono che il pubblico rimanga in partita.

Fiom: uniti per l’ambiente I ragazzi: «Non esiste lotta climatica senza di voi» I prof di Climate jobs: se Iia producesse un terzo di ciò che serve all’Italia, ci sarebbero mille posti in più

In questo contesto si inserisce il movimento per il clima. Già lo scorso anno nella vertenza della Marelli di Crevalcore, a pochi chilometri da Bologna, si era consumata quest’alleanza: studenti ecologisti e operai metalmeccanici assieme. L’assemblea di ieri – più di cento i partecipanti – è stata convocata da Fridays For Future e Fiom Cgil, ma di fronte ai cancelli è intervenuta anche Cisl, Extinction Rebellion, l’Arci, i comitati contro la cementificazione. Un pezzo di città che si schiera con gli operai in vertenza. I lavoratori hanno risposto con lo sciopero: due ore proclamate appositamente per rendere possibile l’assemblea.

«COME FIOM CREDIAMO che la transizione ecologica non sia una minaccia, ma una possibilità», dice il sindacato. «In un’economia votata al profitto a discapito dell’ambiente, aziende come Industria Italiana Autobus sono asset essenziali per la trasformazione della società. Per questo crediamo che la vertenza in atto sia d’interesse della collettività nella sua interezza». Dello stesso tenore l’intervento di Fridays For Future. «Non esiste lotta alla crisi climatica senza di voi. Questa è una fabbrica che produce soluzioni: la mobilità pubblica ed elettrica è la strada per ridurre l’inquinamento atmosferico che avvelena le persone e il riscaldamento globale che ci mette in crisi a furia di eventi meteorologici estremi».

IL RIFERIMENTO È ALL’ALLUVIONE di un anno fa: diciassette morti e oltre dieci miliardi di danni ben ancorati nella memoria collettiva emiliano-romagnola. Molto applauditi gli interventi del comitato tecnico di supporto alla campagna Climate Jobs, un gruppo di ricercatori del Sant’Anna di Pisa e delle università di Roma, Bologna e altre che assieme ai movimenti ecologisti sta lavorando ad una proposta di rilancio industriale verde dell’automotive italiano. «Nel 1980 producevamo quasi 7000 autobus, oggi sul suolo italiano ne vengono prodotti meno di 300. Il vuoto di politiche industriali di questo paese ci porta al paradosso di spendere più di 400 milioni di euro per importare autobus (quasi tutti a diesel) dall’estero, mentre Iia potrebbe essere trasformata in una azienda leader del settore» spiegano. «Secondo i nostri calcoli, con l’aumento di produzione di Iia a un terzo degli autobus immatricolati in Italia ogni anno si potrebbero creare più di 1.000 posti di lavoro».

VISTA DA FUORI, LA VICENDA di Iia è paradigmatica dell’assenza di politica industriale che affligge l’Italia tutta. Quello degli autobus è un settore in espansione, strategico per la transizione ecologica, la cui domanda è trainata dalle commesse pubbliche. Ciò nonostante l’ultima impresa italiana del settore langue, e lo Stato ha deciso di lasciarne le redini al privato. Il rischio è che i comuni siano costretti a rinnovare le flotte con bus esteri, e che l’Italia perda così un altro pezzo di industria.

«Siamo per la giustizia climatica», ha detto uno dei rappresentanti sindacali concludendo il suo intervento «significa che la transizione deve essere un’opportunità per noi e un costo solo per chi il riscaldamento globale lo ha causato». Parole alle quali ecologisti e operai hanno risposto, assieme, con un lungo applauso.