Premessa
Viviamo in un tempo di transizione verso una nuova Era oltre l’umano. Nelle puntate precedenti (Oltre l’umano, oltre i post, oltre… Non si può rimettere il dentrificio dentro il tubetto ; Oltre l’umano #2, il futuro inizia oggi non domani) abbiamo evidenziato alcuni punti che ci sembravano importanti per iniziare il ragionamento: non è più il tempo dei post-, non è ancora quello dell’oltre.

Le dicotomie natura-tecnologia, umano-non umano, non funzionano più e il concetto di ibrido è fondamentale per stare nelle contraddizioni. Tra sacro e profano scegliamo il profano, nel materialismo e dalla parte dei saperi, contro superstizione e assoluto. Il capitale finanziario è il rapporto tra l’algoritmo, il lavoro/la vita e le varie forme di comando dei sottosistemi. I sottosistemi non sono solo gli stati-nazione, alcuni sottosistemi si rifanno ad imperi antichi, a Zar, Sultanati, Emiri, c’è l’Islam-Politico, il Partito Comunista Cinese, altri sono privati come Elon Musk; tutti i sottosistemi aspirano a far parte del grande gioco e in questo scenario la guerra è un ibrido, la continuazione della politica con altri mezzi per stare nel comando finanziario.

Se già questi temi non permettevano di adagiarsi su comode certezze, dopo che Putin ha invaso l’Ucraina ed è scoppiata la guerra nuovi elementi si aggiungono per sfidare la complessità. La proposta di ragionamento che segue è l’invito ad una discussione multidisciplinare che dia spazio a punti di vista eretici per la costruzione di pensieri e pratiche della trasformazione.

Oltre la fine della storia
Affermare che la storia non è finita è un punto di partenza che ci differenzia ancora una volta da tante altre tendenze attuali. Dal pensiero sacro al catastrofismo climatico, dal realismo geopolitico al complottismo no vax. Queste tendenze, tutte diverse, sono accomunate dal vedere le cose come immutabili e dal rifuggire nelle certezze del passato per sconfiggere la paura della catastrofe imminente o per conservare antichi poteri. Con la guerra in Ucraina tendenze di questo tipo trovano molti più motivi per affermarsi di quelli che hanno avuto con la pandemia o con la crisi climatica. La paura è la costante
su cui fanno presa, ma questa volta affermano la loro legittimità utilizzando in maniera strumentale il concetto di pace molto più difficile da scalfire.

Invece di vedere l’enorme movimento storico in corso, dove i sottosistemi sono in fermento, e dove la guerra è in continuità con il comando finanziario reagendo a cambiamenti epocali, si afferma che ogni azione di contrasto all’aggressione di Putin può contribuire solo al disastro nucleare dipinto come la fine dell’umanità, della storia. Prima dell’invasione di febbraio abbiamo già dimostrato come pensieri assoluti di questo tipo ci facciano ripiombare nel lato del sacro, quindi in netta opposizione con il profano rappresentato dalla proliferazione delle conoscenze, dell’appropriazione dell’ibrido uomo-donna-+, natura-conoscenze-tecnologia ,terra-spazio-digitale, per la trasformazione.

Guerra e pace
Ci sembra che il dualismo guerra o pace venga usato come un assoluto che oggi esclude qualsiasi possibilità di resistenza. Se resisti ad un’aggressione mossa con le bombe da un sottosistema patriarcale, oligarchico, imperiale, allora sei per la guerra e contro la pace. Non importa se lo fai per difendere o curare la tua casa, le tue relazioni, il territorio o la città in cui hai scelto di stare. Non importa se sei un gruppo di auto-difesa composto da civili. Non importa se lo fai perché semplicemente non sopporti un regime dittatoriale come quello di Putin. Qualsiasi cosa fai sappi che sei o per la pace o per la guerra. Come dire che per essere contro la guerra bisogna essere automaticamente pacifisti.doc e non invece che ad una guerra di aggressione, d’invasione, di spoliazione si può resistere “con ogni mezzo necessario”. Se invece accetti le condizioni poste dall’aggressore, ti sottometti, deleghi alla diplomazia di un paese terzo quale la Turchia, allora sei per la pace e contro la guerra. La dicotomia guerra/pace non lascia spazio per alternative.

Un altro aspetto problematico della dicotomia guerra pace è legato al vecchio mondo bipolare in cui alcuni credono ancora di trovarsi. Per chi si consola con le certezze del passato, essere contro la guerra corrisponde quasi automaticamente ad essere contro gli Stati Uniti, essere per la pace significa essere dalla parte degli altri popoli del mondo. Questo dualismo già iniziava ad essere scardinato dalle lotte contro la guerra dei primi anni 2000 che intravedevano nel controllo imperiale americano un nuovo modo di intendere i rapporti nel mondo globale, e proprio intorno a questa dinamica elaboravano le alternative di un altro mondo possibile. Quello che viene chiamato il mondo multipolare di oggi è il risultato di quelle lotte che non si sono rassegnate all’esistente e delle tante dinamiche contraddittorie che hanno sfidato la dimensione imperiale. Oggi si tratta di pensare l’alternativa all’altezza del mondo multipolare, ma per farlo
dobbiamo liberarci del dualismo assoluto guerra/pace che crea solo grande confusione.

Sovranità alternative
Se negli anni 0 del XXI secolo le lotte per l’alternativa si sono poste all’altezza della sfida con l’impero globale a guida americana, porsi ora all’altezza delle trasformazioni in atto significa seguire alcune linee di tendenza non scontate e forzare alcuni concetti, tra cui quello di sovranità.

Il capitale finanziario si forma sull’attività sociale/digitale complessiva di e tra sottosistemi. È per il controllo di questa che si producono gli algoritmi di calcolo e di previsione e che impongono forme di comando. In tutti i sottosistemi, non solo nella Russia di Putin, si sviluppano disuguaglianze e prosperano oligarchie economiche che sfruttano le varie forme di comando. Oligarchs are the new capitalists. La guerra dimostra che si può optare per colpire gli oligarchi russi come una manovra militare estemporanea, per cui è possibile. Ma di certo non ha a che vedere con la redistribuzione della ricchezza, come la intendiamo noi. Gli oligarchi stessi spesso esprimono la forza di veri e propri sottosistemi. Impongono il modo in cui usare i satelliti, decidono quando aprire e chiudere i rubinetti del gas, influiscono sui prezzi, influenzano le politiche, soprattutto quelle sul clima.

Questo basterebbe per dire che la tendenza alla creazione di forme ibride di sovranità in spazi diversi dallo stato-nazione sia molto forte. Prima dell’affermazione del potere cinese, di quello indiano, arabo, turco, questo tipo di tendenza si sarebbe chiamata “razionalità neoliberale”. Cioè un sistema basato sui poteri dei sistemi rappresentativi liberali ma in grado di agire oltre di essi creandone di fatto di nuovi. I nuovi campi ibridi di tecnologie, spazio, digitale, sono un esempio calzante di quegli spazi dove si agisce
una sovranità ibrida. Oggi è difficile affermare che ciò che avviene nei sottosistemi citati poco sopra abbia qualcosa a che vedere con il liberalismo o lo pseudo-liberalismo. È per questo che parlare di algoritmo del comando finanziario appare più appropriato di neoliberalismo.

La vecchia sovranità dello stato-nazione intesa come controllo finanziario sta quindi giungendo al termine, o per lo meno coesiste con nuove tendenze. Ma vedendo le forti spinte nazionaliste e le ambizioni imperiali in atto non possiamo aspettare semplicemente che gli stati-nazione si estinguano spontaneamente, dobbiamo pensare come forzare questa dinamica, di che strumenti dotarci. Le sovranità alternative non sono altro che nuovi poteri che superano i vecchi poteri. Il comunismo è stato un esperimento che è andato in questa direzione, ma per pensare una sovranità che si ponga già oltre gli stati-nazione con le caratteristiche della liberazione, dobbiamo cercare qualcosa di nuovo.

Matriottismo europeo
Facciamo un passo indietro. L’Unione Europea ha rappresentato un modello di razionalità neoliberale con politiche che hanno spinto nella direzione dell’appropriazione privata, dell’impoverimento e delle disuguaglianze, della creazione di forme di vita e di lavoro precarie. Il percorso di costruzione dell’Unione ha sempre trovato numerosi avversari interni ed esterni, primo fra tutti l’identità nazionale, utilizzata come clava contro migranti e unioni politiche post-nazionali. La razionalità neoliberale ha permesso esattamente che paesi come la Svezia e l’Ungheria convivessero. Ma proprio per questo oggi molti considerano questa convivenza una catastrofe annunciata.

Eppure per la prima volta in europa si è optato per la messa in comune del debito e temi quali l’inquinamento, l’energia, i salari, il reddito, la salute, le differenze di genere, la digitalizzazione stavano trovando nel piano europeo del recovery fund un potenziale campo di conflitto enorme per i prossimi anni. Certo non stiamo parlando di grandi lotte unificate, anche perché lo scongelamento post-pandemia è appena iniziato, ma quel tipo di spazio di sviluppo poteva e può ancora ambire a questo (…….. anche se oggi forse ci troveremo a discutere di come confederare le lotte contro l’apertura di nuove centrali a
carbone piuttosto che quelle per le energie rinnovabili non inquinanti e contro il gas, un passo indietro che rischia di essere enorme).

La sovranità europea così come la conosciamo è fragile e probabilmente rischia di non superare integra, tantomeno rafforzata, i prossimi anni.

Ma se sovranità alternative distruttive sono sempre sull’uscio di Ue, perché non pensare ad una nuova sovranità alternativa all’Ue in uno spazio più largo e con più democrazia? Che non sia schiava più dell’atlantismo e dunque della NATO; capace in questa forma libera di affrontare anche il tema della difesa comune? Il percorso di lotta in questa direzione è quello che chiamiamo Matriottismo europeo.

Sovranità euro-mediterranea e confederalismo democratico
L’idea che abbiamo in mente è duplice. Da un lato confrontarci intorno all’idea di una sovranità alternativa che si ponga già oltre gli stati-nazionali ed apertamente ecologista e femminista, in filiere spaziali diverse da quelle tradizionali. Lo spazio euro-mediterraneo è già di per se una rottura rispetto all’Europa tradizionale che può dare un contributo enorme in questa lotta. Ci piacerebbe sperimentare una discussione di questo tipo con i paesi del mediterraneo, dell’est, Ue e non Ue, dei baltici. Ci interessa parlare con percorsi di lotta ed emancipazione nelle città, nei paesi e nelle zone di confine, percorsi
di autonomia territoriale già forti in Europa, nuove autonomie. Con soggettività di lotta, ma anche percorsi locali sia di governo che di opposizione. Convinti che questo dualismo, tutto dentro le logiche della rappresentanza, non aiuti a descrivere le più interessanti sperimentazioni da Zagabria a Bologna, da Belgrado a Barcellona. C’è chi sta al governo c’è chi sta all’opposizione in base ai contesti, conta per cosa lotti.

Il secondo punto è che se vogliamo sfidarci sul terreno di affrontare nuovi modelli di sovranità alternative che superino gli stati-nazione, perché non rivolgere il nostro sguardo con forza anche fuori dall’Europa?
Può il confederalismo democratico dei Kurdi, l’idea di “una amministrazione politica non statale o una democrazia senza stato”, come scrive Ocalan, essere un modello da usare ripensandolo nello spazio politico euro-mediterraneo?

Contro sacro e depressione ci vogliono pensieri e pratiche eretiche della complessità
All’interno di questa discussione che scuote le nostre comfort zone ospiteremo punti di vista ibridi ed eretici. Vogliamo confrontarci non per creare semplici meccanismi di rete, ma per avere uno sguardo comune sulla complessità.

Sappiamo che è difficile. Dopo la pandemia è scoppiata la guerra. C’è chi dice che il rifiuto e l’esodo dal lavoro siano causati da una doppia depressione dovuta a queste continue crisi concatenate. Che sia vero oppure no, il dato è che, alle condizioni attuali, è difficile mantenere anche solo un’attività parziale in modo non precario. Figuriamoci quanto possa essere difficile tenere lo sguardo su una complessità senza cadere nel catastrofismo o in formulette sacre. Inoltre, se il lavoro sociale è precario e genera esodi, a volte accompagnati da sentimenti di sconfitta, è sempre più precaria anche la militanza
politica. Lo sono così tanto da toccarsi e da farci auspicare che si possa trovare proprio in un progetto complessivo per cui lottare quello che ci fa superare il dualismo lavoro/militanza.

Complessivo, però, non significa complicato. La catastrofe genera paura, ma ci rassicuriamo che è il mondo che sbaglia, non siamo noi. Appena si cerca di considerare la situazione complessiva questa appare troppo complicata, e ci rifugiamo nei particolarismi, in teorie del complotto, in modelli del passato, nel sacro. “È la guerra in sé il problema”, non i motivi per cui viene mossa o i motivi per cui si resiste ad un’aggressione. “Isoliamoci come paese, non portate la guerra a casa nostra”.
“Sbagliano quelli che resistono all’aggressione perché così facendo alimentano la guerra”. E cosa dovrebbero fare? Come se prima le cose andassero meglio. Qualcuno pensa addirittura che la deterrenza nucleare del vecchio mondo bipolare fosse una cosa migliore della situazione attuale, auspicabile, a cui ritornare.

Con lo stesso tono si dice che il modo “primitivo” di affrontare il rapporto con la natura sia stato migliore di quello attuale, libero da elementi distruttivi. Si invoca alla decrescita felice mentre si abbandona il campo di appropriazione politica dello sviluppo di tecnologie per uno sviluppo ibrido; per rendere gli ecosistemi posti migliori in cui stare e meno favorevoli allo sviluppo di altre pandemie… dunque per lotte radicali di sabotaggio delle filiere inquinanti.

Allo stesso modo si parla del reddito. Non come una misura da difendere con la lotta, ma come una politica che rimarrà per sempre incompleta. Ma anche se incompleta e debole il reddito di cittadinanza è quella cosa che più si avvicina ad uno strumento politico efficace di fronte alle tendenze del lavoro precario attuale, che tutela dai turbamenti economici, sociali, sanitari, geologici, e che permetterebbe di sviluppare forme libere di lavoro sociale. Anche in questo caso la complessità schiaccia, invece che essere il potenziale trasformativo, tutto appare immodificabile sul piano delle idee, mentre sul piano materiale le cose arretrano.

Il primo maggio in piazza a Bologna uno striscione recitava “lavoro zero, reddito intero. Tutta la produzione all’automazione”. Facciamo salti avanti, rivendichiamo ozio, e che questo sia pagato con i miliardi che ogni giorno vengono rubati al lavoro sociale complessivo dall’algoritmo finanziario.

Ma senza uno sguardo complessivo dove finiscono tutte le forze reali, generate dai sistemi ibridi in cui viviamo, in grado di trasformare le cose? Le perdiamo di vista, oppure, peggio ancora, vengono considerate come nemiche del cambiamento perché complici dell’attuale sistema, incapaci di ribaltare le cose – questo è ciò che dicono i critici sul piano delle idee – “vendute al sistema”, “filo-americane”, “guerrafondaie” ecc. Ma basti vedere il ruolo centrale che ha assunto Elon Musk nella situazione attuale, l’importanza che le tecnologie ibride avranno nella nuova era, per capire che certe affermazioni sono solo frutto della pigrizia e del purismo teorico, mentre la critica va spostata sul piano materiale.

È proprio del pensiero religioso, del sacro, farsi spazio in situazioni come questa. Il sacro è puro, non macchiato di peccati. Si affida ad un potere più alto in alternativa alla fine della storia e non considera l’ibrido uomo-donna-+, le tecnologie, le specie, gli ecosistemi diversi alleati per la trasformazione, per questo li esorcizza. Non sono solo le chiese, le religioni o le sette identitarie, a farsi spazio tra la paura contro il materialismo del profano, ma anche soggettività che, una volta identificato uno dei
tanti problemi del mondo attuale (la crisi climatica, la violenza di genere, la fame, il digitale, la guerra), intorno a quello costruiscono la propria narrazione con pratiche che rasentano il mistico e lo spirituale, finendo per accettare che solo un potere superiore potrà cambiare le cose, e non ponendosi mai il problema di costruirlo un contropotere più forte.
Sono solo tendenze, ma tendenze che ci fanno mettere in discussione la politica della rete e delle differenze come siamo abituati a considerarla.

Oltre le differenze per la politica oltre l’umano
Se la politica della rete e delle differenze ci ha fatto rendere conto della varietà delle lotte e dell’intersezionalità che si ritrova in tutti i meccanismi di sfruttamento e di violenza, oggi ci sembra che questo approccio abbia perso il suo potenziale trasformativo. Reti e differenze stanno alla base di un approccio largo e trasformativo della società, ma non sono concetti che aiutano a stare materialmente nelle contraddizioni. In questo senso è più utile il concetto di ibrido che tiene già dentro le
differenze, ma parla di una trasformazione possibile in ogni ambito della vita. Allo stesso tempo il ritorno al passato alimenta la narrazione di altre parti. Nazionalismi, complottismi, e tra questi anche ex-post-colonialisti/ex-terzomondisti/ex-comunisti per i quali un mondo multipolare che arretra sul piano dei diritti, delle libertà, di naturatecnologia, di scienza, è sempre meglio del vecchio mondo a trazione americana.

Il pensiero della catastrofe fa dunque immobilizzare ed arretrare. Ma nuove identità politiche si stanno fondando proprio contro il pensiero del sacro assoluto, per alternative complessive, oltre il limite dell’umano.

Per concludere pensiamo alla differenza uomo-donna. Con la guerra mossa dal regime patriarcale russo questa torna in modo preoccupante. La guerra viene fatta passare come cosa da maschi, mentre le donne devono rimanere ad accudire il focolare domestico. Anche tra le fila di chi si dichiara dalla parte della resistenza delle donne, spesso passa in maniera subdola il concetto per cui la donna è brava a prendersi cura e che se fosse per la donna nemmeno si combatterebbe.

Certo, quando il mondo sarà governato da un numero più grande di donne, lgbtqi+, animali, cyborg che avranno favorito il superamento della differenza uomo-donna e la fine di molti sotto-sistemi attuali, siamo convinti anche noi che le probabilità di guerre diminuiranno; quando lotteremo per il matriottismo europeo e per il confederalismo euro-mediterraneo siamo sicuri che ci avvicineremo di più a quell’ottimo ideale; ma nel frattempo riusciamo almeno a riconoscere l’importanza di schierarsi con le donne, gli uomini e + che resistono in europa e non solo, che usano la forza e le armi per difendersi e prendersi cura, proprio per pensare a quella alternativa?

Tanti temi, tanti spunti, tante domande. Siamo convinti che se non si sta dentro le reali tendenze della realtà, se non si gioca d’anticipo, si rischia solo e sempre di aspettare, tristemente circondati dai “se…” e dai “ma anche …” e di essere impotenti e mai veri protagonisti del cambiamento.

“Batti il tuo tempo”……. Oppure “chi non risica non rosica”, è il motivetto che proveremo a suonare nei primi due giorni di ottobre 2022, a Bologna.

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