Sono ore decisive per la vertenza che in Germania vede impegnati da mesi i lavoratori comunali dei servizi sociali ed educativi. Oggi potrebbe essere il giorno dell’accordo, oppure quello che dà il via a un nuovo autunno caldo sindacale: «Nessuna ipotesi è da escludere», dichiara al manifesto Jan Jurczyk, portavoce della federazione dei lavoratori dei servizi Ver.di (Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft). Il conflitto riguarda circa 240mila persone impiegate in un settore importante di per sé, ma divenuto ancora più strategico nelle ultime settimane, da quando cioè la Repubblica federale è stata investita dal massiccio afflusso di profughi.
A occuparsi dell’aiuto e dell’integrazione dei migranti fuggiti dalle guerre, compresi moltissimi bambini, sono infatti proprio educatori, insegnanti di nidi e materne, e assistenti sociali: persone che chiedono «semplicemente» che professionalità, impegno e fatica siano riconosciuti più adeguatamente. Soprattutto in una situazione d’emergenza come quella attuale, dove a loro è richiesto uno sforzo eccezionale per prendersi cura nel modo migliore dei richiedenti asilo. Per la controparte (Vka, l’organizzazione che raggruppa tutti i datori di lavoro comunali), invece, le cose stanno all’opposto: proprio l’«emergenza profughi» r

nde ancora più difficile fare concessioni ai lavoratori. Una posizione che il leader di Ver.di Frank Bsirske giudica «irresponsabile e politicamente pericolosa».
I lavoratori del settore sono molto determinati, e lo hanno dimostrato nel corso della vertenza, cominciata a febbraio, partecipando a manifestazioni e scioperi, e rifiutando ad agosto un’intesa arbitrale ritenuta insoddisfacente. Nelle relazioni sindacali tedesche è prassi che, in caso di prolungato disaccordo fra le parti, intervengano mediatori a proporre una soluzione: è stato così anche questa volta, ma i lavoratori, attraverso una consultazione, hanno detto «no». Troppo bassi gli aumenti proposti: per gli educatori di asilo nido, ad esempio, fra l’1,3 e il 4,9%, partendo da una base mensile di 2590 euro lordi a inizio carriera – ma solo una minoranza degli impiegati in questo comparto lavora a tempo pieno, e quindi lo stipendio reale è generalmente inferiore.

Nella piattaforma sindacale la rivendicazione di tipo economico è strettamente intrecciata a una critica delle condizioni reali di lavoro, delle quali si chiede un miglioramento. Prendendo sempre come caso paradigmatico gli asili nido, viene denunciata la mancanza di personale sufficiente, da cui derivano carichi eccessivi: «Nella routine del lavoro negli asili manca il tempo per documentarsi, riflettere, dialogare. E ciò non è solo demotivante, ma genera anche malessere». Considerazioni che valgono per l’intero settore di lavoro pubblico coinvolto nella vertenza.

Se le parti giungeranno a un’intesa, toccherà nuovamente agli iscritti al sindacato esprimere la propria opinione vincolante: quando l’accordo è frutto non di un arbitrato, ma della volontà di sindacato e controparte, lo si considera automaticamente in vigore salvo che il 75% degli iscritti dica esplicitamente «no». È assai difficile, tuttavia, che firmi qualcosa di non gradito alla propria base proprio una federazione sindacale come Ver.di, che la scorsa settimana ha tenuto il congresso nazionale riaffermando il profilo battagliero che la contraddistingue. Al centro delle assise, la sfida portata dai giganti dell’economia digitale come Amazon, contro cui Ver.di ha da tempo ingaggiato una dura battaglia, e l’opposizione alla politica della troika: «Il modello sociale europeo – ha affermato di fronte ai delegati Bsirske, rieletto segretario – rischia di crollare. Aumenta la divisione dell’Europa fra Nord e Sud, fra ricchi e poveri, a causa dell’antisociale politica di austerità, della quale il trattamento riservato alla Grecia è un esempio spaventoso».