Sei anni fa c’erano solo macerie. La carcassa di una fabbrica fallita. Trentacinque lavoratori mandati a casa. Un privato in bancarotta. Uno spazio verde chiuso e abbandonato.

Sei anni dopo, in un mix suggestivo di archeologia industriale e verde urbano si aprono le porte del mondo di OZ, Officine Zero. Una multifactory in cui abitano diversi laboratori artigianali: falegnameria, verniciatura, sartoria, tappezzeria, saldatura.

Dallo spazio sono ricavate anche venti postazioni di co-working, gli studi di grafica e design, gli uffici, le sale riunioni. Il luogo è attraversato da una comunità di quaranta lavoratori autonomi, che negli anni si è impegnata a riparare, riadattare e riattivare gli ambienti della ex fabbrica.

CONDIVIDONO LO SPAZIO di lavoro ma non solo. Alla base del progetto attuale c’è un’idea di economia collaborativa: la rottura dell’isolamento fisico e sociale dei freelance, la disponibilità a cooperare, scambiando prestazioni e competenze, creando reti di supporto per lavoratori in difficoltà.

Officine Zero è oggi un’esperienza di mutualismo dentro le nuove forme del lavoro atipico, materiale e immateriale. Ma è anche un modello di sostenibilità ambientale.

Questo piccolo miracolo di rigenerazione urbana, da qualche giorno ha ricevuto un’ordinanza di sgombero.

L’area su cui insiste il progetto è privata. Apparteneva alla Rail Service Italia, per la manutenzione dei treni notte. Trenitalia ha smantellato progressivamente i convogli notturni spostando il grosso degli investimenti sull’alta velocità. Rsi, impresa ad unico committente, ha dichiarato il fallimento. Un’altra firma è subentrata nella proprietà dell’area, la Barletta Srl, con l’intenzione di convertire la superfice in un polo logistico. Il fallimento è sopraggiunto stavolta prima ancora dell’inizio dei lavori.

I beni mobili e immobili dell’area sono stati ceduti a una curatela fallimentare incaricata di svendere per ripagare le passività.

MAGGIORE CREDITORE dell’impresa fallita è la Banca Nazionale del Lavoro, integrata nel colosso finanziario francese Bnp/Paribas.

Mentre le aziende scappano lasciando una scia di debiti, alcuni operai cassaintegrati della ex Rsi, nel 2012, decidono di occupare gli stabili della fabbrica. Si attiva una rete di supporto, che coinvolge attivisti, docenti universitari, studenti e precari. Sull’impronta delle empresas recuperadas argentine prendono vita le Officine Zero.

UN’UTOPIA DI AUTOGESTIONE, lavoro cooperativo, salvaguardia dell’ambiente.

Alla base del progetto c’è l’idea di riavviare la produzione attraverso il recupero e riuso di materiali di scarto. La riconversione ecologica è rimasta nel Dna dello spazio come bagaglio di competenze e pratiche virtuose.

Nel 2017, ad esempio, Officine vince con il progetto «REC – Riusare è ricreare» il bando regionale Fuoriclasse, per l’educazione ambientale nelle scuole. Inoltre un’opera di bonifica ecologica, attraverso la fitoterapia, è stata messa in cantiere per l’area verde che circonda gli edifici, con la prospettiva di rendere lo spazio accessibile ai cittadini di Casalbertone, quartiere che soffre l’assenza strutturale di verde urbano.

Il concetto di rigenerazione urbana, vale a dire sostenibilità ambientale e ri-qualificazione, dove è possibile, delle cubature già esistenti, è una nozione chiave, non solo nelle direttive europee in materia di sviluppo urbanistico.

Dà il nome infatti anche alla legge regionale (LR 7/2017), che va a sostituire il Piano Casa. La norma, che ha suscitato numerose proteste tra i movimenti per il diritto all’abitare perchè concede grande libertà di manovra agli investitori privati, a un anno dall’approvazione non è ancora stata applicata dal Comune.

Le operazioni immobiliari a Roma proseguono con il pilota automatico e più che a una rigenerazione assomigliano molto a una gestione fallimentare del patrimonio pubblico.

«PER DIVERSI ANNI nessun compratore si era fatto avanti per l’acquisto dell’ex fabbrica» dice Alessandro, uno dei lavoratori di Officine, «ma da quando il posto è stato messo all’asta la nostra priorità è stata quella di spingere il Comune di Roma a porre il vincolo di utilità pubblica sull’area. A prescindere da chi avrebbe acquistato, il vincolo di utilità è uno strumento per tutelare il quartiere dalle operazioni di speculazione edilizia.»

LE RISPOSTE ISTITUZIONALI tuttavia sono state molto chiare: l’utilità si stabilisce in base agli interessi di un eventuale acquirente. Qualche mese fa il compratore è arrivato. Si tratta proprio di Bnl, fresca del cospicuo investimento immobiliare che ha portato alla costruzione di un grattacielo orizzontale, dal risonante nome «Orizzonti Europei». Una montagna di vetro su via Tiburtina, non distante dagli spazi della ex Rsi, dove l’istituto finanziario ha collocato il suo quartier generale romano.

Bnl è ora interessata a comprare anche l’area di 20.000 mq di Officine Zero per un prezzo che si aggira intorno ai 2 milioni di euro. «Abbiamo accettato il dialogo con l’investitore» dice uno dei lavoratori di Officine «ma per ora non ci è stata fornita nessuna garanzia. Ci hanno proposto di mantenere un piccolo spazio di rappresentanza qui, e di spostare le attività lavorative altrove. Abbiamo chiesto la presenza delle istituzioni a questo tavolo per garantire che il progetto edilizio di Bnl sia coerente con le necessità del quartiere e che restituisca servizi ai cittadini. Per ora l’unica cosa certa che abbiamo ottenuto è l’ordinanza di sgombero».

SUI FUTURI PROGETTI immobiliari nel quartiere l’ufficio stampa di Bnl non fornisce informazioni. Intanto le pratiche di riqualificazione autonoma non incontrano nessuna tutela pubblica e la compravendita di pezzi di città avviene lontano da qualsiasi meccanismo partecipativo.

La rigenerazione di Roma rimane per ora solo un concetto astratto.