In Italia è passato inosservato. Qualche fugace commento accademico e qualche slogan in ambienti «terzomondisti». Martin Bernal, morto il 9 giugno scorso a Cambridge a 76 anni, non ha suscitato da noi grandi passioni, come invece nel mondo anglosassone.

Bernal è stato uno specialista di storia cinese che ad un certo punto della sua vita di studioso si è trovato a disagio con la vulgata che racconta della Grecia classica come l’origine e la fonte dell’Europa. Una Grecia fin dai primordi purificata da ogni influsso e condizionamento esterno, splendida, si potrebbe dire, nel suo isolamento e nella sua partenogenesi. Questo modello culturale, le cui propaggini imperialistiche non sono difficili da riconoscere nella contemporaneità, ne cancellava un altro che vedeva invece ascendenze semitiche ed egizie sia nella cultura sia nella lingua. Un «modello antico», già riconosciuto da Platone, Erodoto, Eschilo, e soppresso dal classicismo europeo del XIX secolo, così pieno di razzismo, nazionalismo, colonialismo, un vero «modello ariano», per usare le parole usate da Bernal.

Black Athena. Le radici afroasiatiche della civiltà classica è pubblicato nel 1987 come primo volume, e nel 1992 tradotto in italiano dalla coraggiosa Pratiche editrice (alcuni anni fa è stato riproposto dal Saggiatore). Il titolo è ad effetto e circolerà come l’affermazione di una origine africana della civiltà greca, che Bernal è ben lontano dal sostenere. Semmai è la tesi sostenuta, con le dovute correzioni, da Cheick Anta Diop, altro ignoto al grande mondo culturale italiano Il primo volume di Black Athena – cui seguiranno altri tre – si concentra sull’Invenzione dell’Antica Grecia’ ed è quello che maggiormente mette in discussione l’impianto di rappresentazione di sé – tramite Grecia classica – della cultura europea, restia a riconoscere influssi e apporti da altre culture antiche. I restanti volumi sono una raccolta di documenti a sostegno della tesi di una origine plurale del mondo classico in cui «Oriente» e «Occidente» sono regimi mentali che non rendono conto del meticciato sostanziale delle culture, greca compresa.

Bernal sapeva di aver avviato una operazione di politica culturale e non una scoperta erudita. Alle prime violenze reazioni accademiche alle sue tesi è seguita una più attenta considerazione e il riconoscimento, anche se a denti stretti, di aver posto in atto una critica del canone fondativo dell’Occidente.