Il ministro «delle imprese e del made in Italy» (Mimit) Adolfo Urso ha autorizzato ieri la pubblicazione del bando di manifestazione di interesse per «l’acquisizione dei beni e delle attività aziendali di Ilva in amministrazione straordinaria e Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, tra cui figurano anche le numerose società appartenenti ai gruppi».

LA PROCEDURA DI GARA si pone come obiettivi «lo sviluppo della produzione siderurgica, l’esecuzione delle misure di tutela ambientale volte alla riduzione delle emissioni, e l’impegno per la decarbonizzazione dei processi produttivi in conformità alle prescrizioni nazionali e europee. Si garantisce, inoltre, la tutela dei livelli occupazionali, riducendo il ricorso agli ammortizzatori sociali. Previste attività e forme di compensazione a favore delle comunità locali con un occhio alla continuità dei complessi aziendali, riportandoli ai massimi livelli di attività».

La particolarità dell’avviso è riscontrabile nella dicitura «preferibile vendita unitaria degli impianti», col concreto rischio, con l’eventuale singola acquisizione dei rami dell’azienda, di sfilacciare ulteriormente un tessuto socio economico industriale che, ad oggi, conta circa seimila cassa integrati ex Ilva totali.

IMMEDIATE SONO ARRIVATE le reazioni delle parti interessate. A partire dal presidente di regione Puglia Michele Emiliano, il quale, mettendo ulteriore carne sul fuoco, ha richiesto la convocazione urgente di un tavolo di confronto tra istituzioni locali, sigle sindacali e il Mimit, per valutare il nuovo piano industriale e il processo di decarbonizzazione dell’area.
Oltre ai forni elettrici e all’impianto di produzione del «preridotto» (una sostanza derivata dall’idrogeno e sostituibile al carbon coke per alimentare gli altiforni) il presidente Emiliano ha presentato ulteriori richieste. Il «rigassificatore galleggiante» che, stando a numerosi esperti, emetterebbe fumi di scarico delle caldaie impattando sull’ambiente. Per la prevenzione contro tale rischio nulla è previsto se non sistemi di monitoraggio. Ci sarebbe anche «un progetto di valorizzazione della loppa di altoforno» e «un impianto di dissalazione per l’utilizzo dell’acqua» che, secondo le valutazioni degli studiosi, comporterebbe il rilascio della salamoia, ovvero l’acqua che resta alla fine del processo di desalinizzazione e che diventa scarto. Se non dispersa in modo corretto, questa sostanza rischia, tra l’altro, di far diventare il mare o il terreno ancora più aridi.

Queste richieste sono state fatte in un contesto come quello di Taranto, una città dove è stata compromessa la salute dei cittadini e sono stati violati i diritti umani. Lo hanno sostenuto sia l’Organizzazione delle nazioni unite che la Corte europea dei diritti dell’uomo e non ultima la Corte di giustizia europea.

SENTENZE, RAPPORTI, studi che sono stati tenuti in considerazione dal senatore tarantino e vice presidente M5s Mario Turco che ieri ha sostenuto: «L’avvio delle procedure per le manifestazioni di interesse per la vendita di Ilva è l’ennesima farsa targata Meloni e Urso, che continuano a far finta che la questione ambientale e sanitaria a Taranto non esista. Si pensa soltanto ad andare avanti con il ciclo integrale a carbone per mantenere una produzione a singhiozzo e tenere buoni i sindacati. Con il percorso intrapreso la questione ambientale e lavorativa di Taranto non troverà mai soluzione, anche perché, per l’annunciata decarbonizzazione, servirebbero, a detta degli esperti, 8 miliardi. Quale degli investitori sarebbe disposto ad accollarseli?».

MOLTO CRITICI sono stati i sindacati rispetto all’iniziativa di Urso che ieri ha parlato di un «dialogo continuo con le parti sociali». Le sigle sindacali Fiom Cgil, Uilm e Usb, all’unisono hanno invece denunciato come il bando di gara, di fatto, «ripropone in gran parte gli stessi criteri di quello del 2016, ma con uno scenario nettamente peggiorato da un punto di vista industriale, produttivo e occupazionale». Ad essere sottolineata, inoltre, la contrarietà sulla vendita dei singoli rami dell’azienda, il rispetto del piano ambientale e la richiesta di una partecipazione pubblica, quantomeno nella fase iniziale di vendita, che garantisca per la tutela occupazionale e un progetto solido e duraturo.