La notizia è sconvolgente: in Afghanistan si propone di reintrodurre la lapidazione per l’adulterio! Dopo dodici anni di intervento militare occidentale si ritorna alle leggi dei taleban. Ed è sconvolgente, o dovrebbe esserlo, per chi, come l’Italia, nella «ricostruzione» dell’Afghanistan aveva l’incarico di seguire il settore della giustizia. Alla vigilia del ritiro delle truppe, almeno parziale, si impone un bilancio. L’investimento del governo italiano sulla propaganda per celebrare i successi dei nostri militari in Afghanistan si scontra con una realtà che emerge con tutta la sua forza raccapricciante.

La notizia della reintroduzione della lapidazione – in un paese dove purtroppo non è mai sparita del tutto – è stata rivelata da Human rights watch (Hrw) che ha potuto esaminare il documento elaborato da una commissione del Ministero della giustizia afghano incaricata di rivedere il Codice penale. Il progetto prevede che se due persone sposate sono giudicate colpevoli di aver avuto rapporti sessuali fuori dal loro rispettivo matrimonio, l’uomo e la donna possono essere condannati alla «pena della lapidazione». La sentenza sarà applicata in luogo pubblico. Se una delle due persone non è sposata sarà condannata a 100 frustate.

La pena di morte per lapidazione è una delle più aberranti violazioni delle norme internazionali relative ai diritti umani, sottoscritte anche dall’Afghanistan. «È assolutamente scandaloso che dodici anni dopo la caduta del governo dei taleban, l’amministrazione Karzai intenda ristabilire la pena della lapidazione», ha dichiarato Brad Adams, direttore della divisione Asia di Hrw. «Il presidente Karzai dovrebbe dare prova di un impegno a favore dei diritti umani, respingendo categoricamente questa proposta».

Per questo – sostiene l’associazione per i diritti umani – i donatori internazionali, soprattutto quelli che sostengono il processo di riforma giuridica in Afghanistan, oltre a prendere decisamente posizione contro questo progetto dovrebbero sospendere gli aiuti nel caso la proposta della Commissione del ministero della giustizia dovesse essere adottata.

Tuttavia, se questa proposta rappresenta un ulteriore passo verso l’oscurantismo, in Afghanistan con l’accusa di aver commesso «crimini morali» molte donne vittime di violenze e stupri vengono regolarmente incarcerate. La denuncia di stupro si trasforma in accusa di adulterio, per la sola donna, che finora comportava anni di carcere ma che in futuro potrebbe voler dire essere uccisa a colpi di pietre – piccole, così prolungano l’agonia – davanti a un pubblico assetato di sangue, magari dentro lo stadio di Kabul. Ma basta fuggire di casa allom scopo di evitare le violenze del marito per essere incarcerate. Poche di queste donne, purtroppo, riescono a sfuggire alla peggior sorte rifugiandosi nelle case per le donne che subiscono violenze. I fondi per il loro mantenimento sono pochi e il governo aveva tentato di portare queste case-rifugio sotto il suo controllo, il che equivaleva a consegnare le donne rifugiate in pasto ai loro carnefici.

Proprio oggi si terrà nel Parlamento italiano un convegno in occasione della giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne (celebrata il 25 novembre) per dibattere sul futuro dell’Afghanistan, speriamo si vada oltre un confronto istituzionale spesso lontano dalla realtà vissuta da molte donne afghane. Una realtà che conosce bene Malalai Joya, deputata buttata fuori dal parlamento afghano per aver denunciato i signori della guerra, che in questi giorni sta compiendo un lungo tour in Italia, proprio per denunciare la situazione del paese dopo dodici anni di intervento militare.