Gli stranieri in Cisgiordania per motivi di lavoro o per attività di volontariato dovranno informare entro trenta giorni il ministero della difesa israeliano se hanno avviato una relazione sentimentale con un palestinese in Cisgiordania. E se il rapporto instaurato sfocerà in un matrimonio dovranno andarsene dopo 27 mesi per un periodo di almeno sei mesi. Come dovranno regolarsi per le relazioni di breve durata o le avventure di una notte non è chiaro. Non è una burla. Sono solo alcune delle nuove regole per gli stranieri che entreranno in vigore domani, stabilite dal Cogat, il dipartimento delle forze armate israeliane responsabile per gli affari civili nei Territori palestinesi occupati. Erano già pronte lo scorso febbraio ma ricorsi e petizioni le hanno tenute congelate sino ad oggi.

Le 97 pagine della «Procedura per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nell’area di Giudea e Samaria», il nome biblico che Israele usa per la Cisgiordania palestinese, vanno ben oltre le relazioni sentimentali tra stranieri e palestinesi. Le nuove restrizioni colpiscono aziende, uomini d’affari, i programmi di aggiornamento professionale nella sanità, le organizzazioni umanitarie e tanti altri settori perché le limitazioni alla durata dei visti e alle loro estensioni consentono agli stranieri di restare in Cisgiordania solo per brevi periodi. Impongono inoltre alle università palestinesi una quota di 150 visti per gli studenti e 100 per i docenti stranieri, limiti inesistenti in quelle israeliane. La Commissione europea si è detta «preoccupata» per le discriminazioni che le nuove procedure causeranno allo svolgimento del programma universitario Erasmus+, ma un suo intervento su Israele è ritenuto assai improbabile.

Le nuove regole non si applicano a coloro che visitano Israele e gli insediamenti coloniali ebraici in Cisgiordania. Ciò rende evidente la doppia legislazione che Israele applica da decenni nel territorio palestinese sotto il suo controllo. Ad esempio, un italiano che volesse lavorare in un villaggio palestinese della Cisgiordania sarà soggetto alle procedure restrittive stabilite dal Cogat, cioè le forze armate, mentre se vorrà farlo in una colonia ebraica a un paio di chilometri di distanza da quel villaggio, dovrà rispettare le disposizioni, molto più leggere, previste per gli stranieri che entrano o intendono risiedere in Israele.

Per i palestinesi queste nuove procedure si inseriscono «in un disegno ampio volto a colpire gli stranieri che fanno volontariato e cooperazione nei Territori occupati». Secondo Jessica Montell, direttrice dell’ong israeliana HaMoked, che ha presentato una petizione all’Alta Corte israeliana contro le restrizioni, «siamo davanti all’ingegneria demografica della società palestinese e del suo isolamento dal mondo esterno. Le nuove regole renderanno la vita difficile alle persone che intendono lavorare nelle istituzioni palestinesi, investire, insegnare e studiare».

Le restrizioni vanno ad aggravare altre limitazioni che negano in gran parte dei casi la concessione della residenza ai coniugi stranieri di palestinesi in Cisgiordania dove migliaia di persone continuano a vivere con uno status legale incerto o sono costrette a lasciare le loro famiglie. La campagna «Right to Enter» denuncia che le procedure del Cogat «imporranno a tante coppie di trasferirsi o di rimanere all’estero pur di conservare la famiglia unita».