Ieri gli E3 (Gran Bretagna, Francia e Germania) hanno avviato il meccanismo di risoluzione delle dispute per contestare all’Iran le violazioni relative all’accordo nucleare.

Noto come Jcpoa, era stato firmato a Vienna il 14 luglio 2015 dai negoziatori iraniani e dai 5+1, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania. Innescare questo meccanismo equivale ad accusare formalmente l’Iran di aver violato l’accordo e potrebbe portare alla re-imposizione delle sanzioni dell’Onu, sospese in seguito all’intesa.

Domenica sera 5 gennaio la tv di Stato iraniana aveva comunicato che il paese non avrebbe più accettato le limitazioni previste dal Jcpoa con riferimento al numero di centrifughe e alle soglie di arricchimento dell’uranio. L’annuncio è avvenuto all’indomani dell’assassinio del generale Soleimani all’aeroporto di Baghdad con un drone per volontà del presidente statunitense Trump.

Non c’è un legame tra i due eventi, era già previsto che le autorità della Repubblica islamica si sarebbero espresse sull’accordo durante quel fine settimana. Ma il nucleare si inserisce nella crisi Iran-Usa.

Ieri gli E3 hanno attivato la procedura di risoluzione delle controversie in base ai paragrafi 36 e seguenti dell’accordo. «Il testo del Jcpoa prevede che la procedura venga attivata quando una parte ritenga che l’altra abbia posto in essere una violazione sostanziale dell’accordo», osserva l’avvocato Giulia Levi dello studio legale Padovan di Milano.

Tenuto conto che è stata l’amministrazione Trump a non rispettare l’accordo imponendo due round di nuove sanzioni nel 2018, gli iraniani avrebbero avuto per primi la possibilità di avviare la procedura di risoluzione delle controversie.

Invece di avviarla in risposta al ritiro unilaterale di Washington dall’accordo, l’Iran era venuto poco per volta meno ai propri impegni reclamandone il diritto a causa del comportamento dell’amministrazione Trump. Se questa giustificazione non piace agli E3, Mosca la dà per buona e non reputa necessario innescare il meccanismo.

Ora, continua Levi, «la questione sarà deferita alla Joint Commission composta dagli E3, Russia, Cina e Iran: avrà 15 giorni per risolvere il caso. Dopodiché potrà passare al livello dei ministri degli Esteri e da ultimo essere trattata da un comitato consultivo. Al termine di questi passaggi, qualora gli E3 non considerassero risolto il caso, potranno venir meno agli obblighi assunti con il Jcpoa e/o informare il Consiglio di Sicurezza Onu. A quest’ultimo spetterà la decisione finale sull’eventuale reintroduzione delle sanzioni Onu (e conseguentemente europee) in vigore prima della conclusione dell’accordo sul nucleare».

Gli E3 hanno notificato a Bruxelles la decisione di innescare il meccanismo e il capo della diplomazia europea Joseph Borrell ha dichiarato che l’obiettivo «non è reimporre le sanzioni ma assicurare il pieno rispetto dell’accordo».

Nel frattempo gli E3 faranno il possibile per ricondurre l’Iran al pieno rispetto dell’accordo per preservarlo e, precisa Borrell, per «non aggiungere la crisi sulla proliferazione nucleare all’attuale escalation che minaccia la regione».

Il problema è che la leadership di Teheran non ha più fiducia negli europei perché in questi anni, troppo spaventati dalle sanzioni secondarie statunitensi, non hanno tenuto fede alla promessa di investire in Iran per risollevarne l’economia.

In Iran la crisi internazionale è intrecciata alla crisi interna. L’assassinio di Soleimani aveva provocato un rigurgito di nazionalismo e rabbia contro gli Stati uniti. L’8 gennaio l’abbattimento per errore di un aereo civile delle linee aeree ucraine ha fatto sì che la rabbia fosse direzionata verso ayatollah e pasdaran: l’incidente ha messo a nudo le loro bugie e la loro incompetenza.

Di fronte alle proteste dei giorni scorsi hanno dovuto ammettere l’errore e hanno dato avvio a un’inchiesta per individuare i colpevoli dell’incidente costato la vita a 176 persone. Ieri ci sono stati i primi arresti di presunti colpevoli ma, di pari passo, la repressione di regime ha innescato il fermo di una trentina di dimostranti.