Visioni

Nostalgia di una vita lontana nei passi di danza

Nostalgia di una vita lontana nei passi di danzaMithkal Alzghair – foto di Andrea Macchia

A teatro Al festival Interplay di Torino «Displacement» di Mithkal Alzghair

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 giugno 2018

Displacement è il titolo. Mithkal Alzghair il coreografo. Siriano, scappato da Damasco e dalla guerra. 38 anni, vive in Francia dal 2010. A danzare ha cominciato a casa, all’Higher Institute of Dramatic Arts di Damasco, poi via, al Centro Nazionale di Coreografia di Montpellier, un bagaglio di esperienza di una vita in conflitto che resta prioritario nel corpo, nella mente. Displacement è un pezzo di 50 minuti arrivato al festival Interplay di Torino diretto da Natalia Casorati in prima nazionale alla Casa del Teatro. Lo spettacolo fa parte del progetto Young and Mediterranean and Middle East Choreographers al quale aderiscono 18 strutture italiane. Un viaggio da Torino a Catania che fino al prossimo settembre porta in scena undici formazioni tra Siria e Iran.

Mithkal Alzghair ha un gesto «motivato». Dovrebbe essere sempre così nella danza, ma quante volte a vincere è l’estetica al di là dei perché. Displacement significa spostamento, trasferimento. Un titolo che va dritto alla questione: cosa comporta vivere spostati altrove causa una scelta forzata, come esprimere con il corpo il disorientamento, la nostalgia di una vita lontana che però non ha libertà, libertà che resta comunque utopica, sempre.

Il lavoro si apre su una scena nella quale c’è solo un paio di stivali da uomo. Brusii lontani di voce, poi più nulla. Mithkal è entrato. La prima parte del lavoro è un assolo. Nelle orecchie il silenzio del pezzo, rotto da un tempo di marcia battente, compulsivo. Mithkal ha indosso gli stivali. Danza e il ritmo militare si intreccia con la danza folk del suo paese.

Vediamo in lui tutti i combattenti, i fuggitivi, i vincitori e i vinti. La danza è attonita come il volto e lo sgranamento degli occhi. Inchinato a terra, le braccia indietro nella preghiera, in piedi, le mani alzate, un segno di vittoria che si trasforma con un piccolo spostamento del gesto in resa, in attesa di fucilazione, in simbolo di bandiera bianca. Come quella piegata a terra che distesa si mette sui morti.

La seconda parte del pezzo è un trio. Alzghair è raggiunto da Shamil Taskin, turco, e da Rami Farah, siriano. Dal singolo al collettivo il ritmo non smette di incalzare, rotto solo dalle cadute improvvise, accasciati i tre sulle ginocchia, di colpo, come abbattuti, o trasformati in michelangiolesche pietà. Alzghair tornerà in Italia a settembre, merita di essere visto. Nel frattempo segnarsi il nome del progetto e degli artisti: Sina Saberi, iraniano, è stasera a Fabbrica Europa.

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