«No volveran». Non torneranno . Il grido risuona nelle piazze del Venezuela in questo fine di campagna elettorale. Piazze chaviste, che si preparano a contendere le urne a un’opposizione inconsistente ma agguerrita, forte degli appoggi internazionali: «È arrivato il cambiamento», ribattono i candidati della Mesa de la Unidad Democratica (Mud), ringalluzziti dalla vittoria delle destre in Argentina. A festeggiare sul palco con Mauricio Macri, a Buenos Aires c’era Lilian Tintori, moglie del leader di Voluntad Popular, in carcere per le violenze dell’anno scorso (43 morti e oltre 800 feriti).

Domenica, 19.496.296 aventi diritto – sono esclusi i residenti all’estero – si recano a votare per eleggere 167 parlamentari (164 per gli organismi federali e 3 per la quota indigena). Il mandato è di cinque anni. Nel 2010, il chavismo ha totalizzato il 59% dei deputati e il 48% dei voti, l’opposizione il 40% dei deputati e il 47% dei voti.

L’alleanza socialista conta su 98 seggi (la maggioranza dei tre quinti ne richiede 99), la Mud 65. Due deputati sono del partito indipendente Patria para Todos.

In 17 anni di socialismo bolivariano, questa è la 19ma elezione. Il chavismo ne ha persa solo una – e di misura –, il referendum costituzionale del 2007.

Nei giorni precedenti è stata messa a punto la macchina elettorale, a prova di frode come la stessa opposizione ammette e il cui sistema altamente meccanizzato utilizza per le sue primarie. Per poter manipolare una delle 40.000 macchine del voto elettronico occorrono tre password, una delle quali è in possesso dell’opposizione, che ha accesso a tutte le sale di spoglio.

Eppure, la Mud si è rifiutata di sottoscrivere l’impegno delle parti a rispettare i risultati del voto. Il suo cavallo di battaglia, questa volta, è la contestazione dell’intero sistema elettorale e dei criteri per l’attribuzione dei seggi che «avvantaggiano il più forte anche ora che ha cessato di esserlo»: le grandi città non possono contare come i posti piccoli, dice la destra agitando sondaggi internazionali e cifre del Fondo monetario internazionale, che danno per spacciato il chavismo. E si prepara a disconoscere i risultati (a meno, beninteso, di non vincere).

Ieri ha rifiutato di votare il bilancio, diretto alle pensioni – che riceveranno alcune mensilità in più per Natale – al vasto piano di edilizia popolare (entro il 31 dicembre si arriverà al milione), ai computer – gratuiti in tutte le scuole, così come i libri e le mense. Oltre agli osservatori internazionali autorizzati – Unasur e alcuni ex presidenti come lo spagnolo Zapatero – , le destre ne hanno chiamato un altro centinaio: a spese dei contribuenti e senza l’autorizzazione parlamentare. Hanno protestato le sinistre in Cile, in Argentina, in Colombia…

Il Segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), Luis Almagro, si è fatto tirare le orecchie da Pepe Mujica per le sue dichiarazioni infuocate contro Maduro. «Non importa, ne riceviamo tutti, siamo un paese di pace e possono verificare», ha detto Maduro durante la sua trasmissione settimanale in cui si è collegato con i circuiti radio-tv in chiusura di campagna. Ieri, momento finale nella storica Avenida Bolivar.

Le destre sono decise a non cedere, approfittando della congiuntura internazionale (recessione economica, crollo del prezzo del petrolio e ritorno dei poteri forti in America latina). Pensano più vicina la convocazione di un referendum revocatorio contro Maduro o un «golpe istituzionale» come quello subito in Paraguay dall’ex vescovo Lugo, senza scartare altre soluzioni più spicce, alla cui organizzazione si sono finora dedicate con zelo.

L’appello all’intervento della «comunità internazionale» è sempre forte e ininterrotto e confida sull’appoggio di Washington, a livello finanziario e mediatico.

Per ora, Dilma Rousseff ha respinto la proposta di Macri contro Maduro: «Il Mercosur non sanzionerà il Venezuela», ha detto la presidente brasiliana.

Ma queste elezioni sono comunque un’occasione ghiotta per i grandi interessi che puntano alle risorse del continente, incanalate verso i meno favoriti dalle nuove relazioni solidali decise e guidate da Caracas.

Il chavismo ha inventato «l’uno per dieci», l’impegno a convincere dieci persone al voto, sottoscritto da ogni militante. «Siamo milioni e una sola voce», gridano le camicie rosse esponendo i risultati raggiunti finora dai numeri: ieri il conteggio aveva superato i 6 milioni di iscritti.

Domenica le urne diranno se lo sforzo ha dato i suoi frutti.